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1 I numeri UNO - 2024 I NUMERI Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia CAMERA DI COMMERC ITALIANA PER LA SVIZZ CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909

2 I numeri UNO - 2024 V edizione, 2024 Editore: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Autore: Giangi Cretti Ha Collaborato: Marco De Stefano Fotografie: gentilmente fornite dai premiati Stampa: finito di stampare in data 10 Marzo 2025 dalla tipografia Nastro&Nastro S.r.l.

3 I numeri UNO - 2024 INDICE Prefazione di Vincenzo Di Pierri Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera 5 Prefazione di Gian Lorenzo Cornado Ambasciatore d’Italia in Svizzera 7 Nota del curatore 9

4 I numeri UNO - 2024 Philomena Colatrella Presidente della Direzione generale del Gruppo CSS 12 Daniela Dolci Musicista 30 Antonio Gambardella Direttore FONGIT (Fondation Genevoise pour l’Innovation Technologique) 48 Maria Grazia Giuffreda Direttrice Associata del Centro Svizzero di Calcolo Scientifico a Lugano 66 Giorgio Pagani Imprenditore di lungo corso 84 Pippo Pollina Cantautore 102 Maria Giovanna Pugliese Chief Operating Officer, Group Compliance del Gruppo Lombard Odier 120 Michele Uva Direttore Uefa per la sostenibilità 136 Luca Zerbini Amministratore delegato e cofondatore di Una Terra 154

5 I numeri UNO - 2024 Il Presidente CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 Vincenzo Di Pierri Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera C’è una cosa in questa nostra iniziativa, giunta alla sua quinta edizione, che, sin qui data per implicita, mi preme in questa occasione esplicitare: rendere omaggio a queste persone, meritevoli del nostro pubblico apprezzamento, è anche un modo per esprimere un riconoscimento e anche riconoscenza nei confronti di coloro che, nei vari angoli della terra, con il loro quotidiano impegno, spesso con parecchio spirito di sacrificio, mantengono alta la reputazione del nostro Paese, favorendo, al contempo, proficue relazioni con i Paesi in cui tante vicissitudini di vita quotidiana li hanno portati a vivere. Tutte persone che, in tempi in cui sembrano prevalere preoccupanti atteggiamenti di prevaricazione e chiusura, testimoniano di quanto uno sguardo aperto sul mondo e alle sue ricche diversità sia, non solo, ancora possibile, ma addirittura auspicabile, pur mantenendo inalterato il legame con le origini, che, valorizzato come tratto distintivo, puntualmente può rivelarsi un valore aggiunto. È con il loro lavoro, con il loro impegno, con i traguardi che raggiungono che, a loro completa insaputa, possono rappresentare esempi a cui eventualmente rifarsi e da cui trarre ispirazione. Ma soprattutto possono diventare voce anche di coloro che voce non hanno. Impresa non facile e, ripeto, non cercata e nemmeno voluta, semplicemente e inconsapevolmente tenacemente costruita. Il premio I Numeri UNO, riconoscimento materialmente nulla più che simbolico, è anche espressione di una precisa volontà: ricordare, fuori dalla facile retorica, che esiste un’Italia fuori d’Italia, anzi che esistono tante Italie fuori d’Italia di cui l’Italia, ben al di là delle parole, può andare fiera.

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7 I numeri UNO - 2024 L’Ambasciatore Sono moto lieto di partecipare alla cerimonia di conferimento dei Premi «I Numeri UNO » alle personalità che si sono maggiormente distinte nella loro attività professionale, divenendo protagoniste di grandi storie di successo in Svizzera. Ringrazio il Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Vincenzo Di Pierri per aver voluto promuovere anche quest’anno questa importante iniziativa il cui obiettivo è rendere omaggio a coloro che nel corso della loro vita hanno dato lustro ai due Paesi i cui rapporti hanno raggiunto negli ultimi anni un livello di eccellenza senza precedenti. I “Numeri UNO” sono fonte di ispirazione per i giovani e rappresentano il collegamento ideale tra l’Italia e la Svizzera e tra due popoli che un felice destino ha collocato gli uni accanto agli altri nella regione più bella d’Europa e che la storia ha reso indissolubilmente amici. Con le mie più vive congratulazioni ai Numeri UNO, alla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera ed i miei più fervidi auguri di ulteriori grandi successi! Ambasciata d’Italia Berna Gian Lorenzo Cornado Ambasciatore d’Italia in Svizzera

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9 I numeri UNO - 2024 Giangi Cretti Il curatore Ci pensi e te ne accorgi: è talmente ovvio che lo diamo per scontato. Ogni premiato è naturalmente una persona. Lapalissiano e inconfutabile. Eppure, non sempre lo assumiamo, come dato di fatto. Con piena consapevolezza, intendo. Infatti, forse perché, solitamente distanti dalle orbite che siamo soliti frequentare, tendenzialmente ci limitiamo a rilevarne la presenza, registrandola però quasi fosse quella di personaggi, che tali consideriamo per l’interpretazione che forniscono per via della funzione o dell’incarico che ricoprono. Dialogare con loro, farsi raccontare come sono diventati quello che sono oggi, è un po’ come rivelare, inteso nel suo significato originale di togliere il velo, andando oltre la superficie, per far emergere alcuni tratti di personalità che ci parlano di scelte, di decisioni, di dubbi, di tentennamenti, di ricerca: umani arredi di quella che, con opportuna intuizione, ci piace definire straordinaria quotidianità. Un po’ come guardare dietro le quinte e cogliere piccoli segnali della complessità che è presupposto di ciò che sul proscenio della vita può apparire talmente semplice e lineare da risultare talvolta comodamente e frettolosamente stereotipato. Incrociare la loro traiettoria, ogni volta, e siamo alla quinta, consente di spalancare delle finestre su mondi altri, (di straordinaria quotidianità, appunto) in cui loro sono a vario titolo protagonisti, fuori dai confini nazionali. Ciascuno, per nascita, per adozione o per intenzione, con la naturale predisposizione a mettere a fattor comune il merito di colorare, arricchendola, seppur con stili, abilità, sensibilità e accenti soggettivi, l’italianità. Sono testimonianza che volere è potere. Poi, certo, per raggiungere ambiziosi traguardi, ai blocchi di partenza, determinate situazioni aiutano più di altre. Anche per questa ragione, le loro sono storie che meritano di essere conosciute, nella convinzione che sia importante farle conoscere. Averli incontrati, soprattutto ascoltati e sinteticamente raccontati, è un po’ come aver avuto il permesso di fare una breve sosta nella loro vita. Un privilegio, che, se vorrete, leggendo le pagine di questo volume, potremo condividere.

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11 I numeri UNO - 2024 I NUMERI Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia CAMERA DI COMMERC ITALIANA PER LA SVIZZ CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909

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13 I numeri UNO - 2024 Cittadina italiana e svizzera, Philomena Colatrella è nata a Lucerna, città nella quale risiede tuttora, da genitori di origine campana. Dopo gli Studi in giurisprudenza presso l’Università di Friburgo, con laurea in Diritto, nel 2000 ha ottenuto la patente di avvocato del Canton Lucerna. Ha in seguito conseguito un Certificate of Advanced Studies (CAS) in contabilità e finanze, presso l’Istituto di economia finanziaria, Zugo.Nnel 2014 ha seguito il Senior Executive Program alla London Business School e lo scorso anno ha ottenuto il Digital Excellence Diploma dell’IMD Lausanna. Philomena Colatrella lavora dal 1999 per la CSS. All’inizio è stata attiva in funzione di avvocata, successivamente come General Counsel/Compliance Officer, prima di essere nominata nel 2012 Segretaria generale e sost. CEO del Gruppo CSS. Quattro anni dopo ha assunto la presidenza della Direzione generale del Gruppo. È membro del comitato direttivo Associazione Svizzera d’Assicurazioni ASA, vicepresidente dell’ Associazione delle assicurazioni malattie curafutura, membro dell’Executive Committee di Digital Switzerland, membro e rappresentante dell’Associazione Svizzera d’Assicurazioni ASA in economiesuisse e membro del Consiglio d’amministrazione di Swiss Life. Perfettamente bilingue, considera infatti italiano e tedesco lingue madri, parla e scrive fluentemente anche francese inglese e spagnolo. Philomena Colatrella Presidente della Direzione generale del Gruppo CSS I NUMERI 2024

14 I numeri UNO - 2024 Non mi sono mai sentita straniera. Anche se… Sono nata a Lucerna, da una famiglia di emigrati, che siamo soliti definire di prima generazione. I miei genitori sono campani, della provincia di Avellino. Sono una di quelli che in gergo, con un termine espressivo, ma non proprio elegante, vengono chiamati Secondos. Conservo ben impresso nella mente il primo giorno di scuola materna svizzera. Avevo 6 anni e mio padre, che è stato molto presente, mi aveva accompagnato. Ricordo di averlo guardato e di avergli detto: “va bene, questa volta sei venuto anche tu, da domani a scuola ci vengo da sola”. Ripensandoci, potrei dire che è una sorta di sintomo di un tratto del mio carattere che, crescendo, è andato via via consolidandosi e che si manifesta in un forte senso di autonomia. Anche se in realtà, quella di allora era soprattutto la reazione di una bambina che non voleva sentirsi diversa dai suoi coetanei svizzeri. Ripensandoci, credo di non aver mai percepito di essere parte di una comunità ghettizzata. La narrativa, che naturalmente ha dei reali fondamenti, solitamente ci racconta di emigrati italiani che, al di fuori del lavoro, vivevano isolati, chiusi nel loro mondo. Per me non è mi stato così. Sicuramente merito dei miei genitori, di mio padre soprattutto, che ha sempre voluto che noi figli ci sentissimo parte della società locale. Fin da subito, sia lui che mia madre, ci hanno voluto coinvolgere in un processo di integrazione e non di supina assimilazione. In tal senso, è sicuramente non marginale che la mia ‘tata’, la mia Tagesmutter, come viene chiamata qui, fosse svizzera. Era una nostra vicina di casa. Io ha avuto la fortuna di frequentare quella che era famiglia di intellettuali. Uno di loro, che è stato fino a poco tempo fa giornalista della SRF, tra l’altro corrispondente per l’Europa dell’Est, mi ha introdotto alla storia, alla cultura, alla musica. Ricordo che mi sono avvicinata al pianoforte grazie a lui, che mi prendeva sulle ginocchia e suonava Azzurro. Tutto questo mi ha sicuramente aiutato molto, evitando che, in qualche modo, mi sentissi diversa, straniera e ha contribuito a farmi sentire parte della comunità locale. Ciò, assieme al fatto di essere curiosa e aperta verso le altre culture, con una certa predisposizione all’apprendimento delle lingue, a me e a mio fratello, ha reso naturale imparare il tedesco. Con l’italiano parlato in casa – mio padre ci teneva che lo padroneggiassimo correttamente - è stata la lingua con cui ho dialogato fin da subito. Sono cresciuta in una famiglia in cui l’idea del rientro - che come siamo soliti pensare, almeno in origine, era l’obiettivo della prima generazione di emigrati - non è mai stata un‘opzione. Per i miei genitori era sempre Naturalmente integrata

15 I numeri UNO - 2024 stato chiaro che saremmo rimasti in Svizzera. A scuola naturalmente interagivo anche con i bambini italiani, molti dei quali abitavano nel mio quartiere, che però tendevano a frequentarsi in una sorta di circuito chiuso. Io questo non l’ho mai fatto, semmai facevo un po’ da tramite fra loro e i nostri coetanei svizzeri. A Lucerna ho naturalmente seguito un percorso scolastico svizzero. Ho frequentato regolarmente e con piena soddisfazione, in effetti mi piacevano moltissimo, anche i Corsi di lingua cultura italiana. Contribuivano a soddisfare la mia ambizione di conoscenza. Dopo la Primar- e la Sekundar-Schule, ho frequentato il Kurz Gymnasium alla Kantonsschule Musegg, che all’epoca era il Lehrer-Seminar. Per un paio d’anni ho fatto anche delle supplenze sia alla Primar- che Sekundar-Schule. Ma era chiaro che professionalmente avrei fatto altro, visto che mi ero iscritta all’Università di Friborgo alla facoltà di Giurisprudenza.

16 I numeri UNO - 2024 Penso di essere affetta da una forma di ADHD (dall’inglese attention deficit hyperactivity disorder, Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività - ndr). Ho infatti la tendenza a voler fare molte cose contemporaneamente. Finite le superiori mi sono trovata in una fase della mia vita piuttosto difficile. Dicevo ai miei genitori di voler studiare diritto, ma al contempo ero stuzzicata dall’idea di studiare francese ma anche russo, perché volevo immergermi nella letteratura russa. Ma, oltre che dalle lingue, mi sentivo attirata dalla biologia e, perché no, dalla tentazione di iscrivermi al Politecnico federale di Zurigo. Insomma, come si è soliti dire: avevo molte idee e molto confuse. Ero talmente indecisa che mio papà, per aiutarmi ad uscire da questo impasse, andò a Bologna a immatricolarmi a giurisprudenza. Gli avevo confidato che forse mi sarebbe piaciuto studiare giurisprudenza a Bologna perché li si studiavano il diritto romano, i glossatori, i compilatori. Lui, come sempre animato da buone intenzioni, A Bologna ci è andato per davvero, ha seguito tutta la trafila, ha fatto una lunga fila e mi ha iscritto. In fin dei conti, mi sono detta, giurisprudenza come formazione di base, mi dà accesso a diverse professioni. Ma quello che è stato decisivo e che fosse uno studio con dei risvolti sociali, umanistici, Nel quale la lingua è fondamentale. Inoltre, cosa che mi caratterizza ancora oggi, rispondeva alla mia inclinazione a voler difendere o comunque aiutare le persone che si trovano in difficoltà. Andare a Friborgo invece che ha Bologna, vista la mia passione per le lingue, che ho la fortuna di apprendere facilmente, è conseguenza del fatto che lì l’università è bilingue. Infatti, ho fatto la laurea bilingue in francese e tedesco, completata con un semestre di scambio, allora non c’era ancora l’Erasmus, in Andalusia. Ricordo, complice anche la mia conoscenza delle lingue – a quelle nazionali potevo aggiungere lo spagnolo e l’inglese - che aspiravo ad una carriera internazionale, che poi evidentemente non ho fatto. In questo, ritrovavo il mio sogno di bambina, che era quello di fare la diplomatica. Oltre ad aver la possibilità di metter in pratica le mie competenze linguistiche, mi affascinavano le opportunità d’incontro con culture diverse, di stabilire relazioni con diverse personalità, di confrontarmi con sempre nuovi problemi di natura sociale, amministrativa, politica, di dover cercare e magari trovare soluzioni. Molte idee e molto confuse

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18 I numeri UNO - 2024 Quello è rimasto un sogno. Finita l’università, ho fatto un anno come assistente al mio professore, sempre a Friborgo, e poi sono rientrata a Lucerna, per fare un practicum e prepararmi agli esami di avvocato. Sul Luzerner Zeitung avevo letto in un’inserzione che la CSS, il gruppo di cassa malati, cercava un giurista per il Canton Ticino. Fedele alla mia indole, che mi porta ad occuparmi di più cose contemporaneamente, mi sono detta: mentre preparo gli esami per diventare avvocato, esami che poi ho superato, potrei temporaneamente svolgere anche questo lavoro. Comunque, pensavo: resto un anno e poi me ne vado. Non volevo infatti rimanere in CSS. Però dopo il Ticino, mi hanno proposto lo stesso incarico per la Svizzera Romanda, che ho accettato. Ma sempre coltivando l’idea che fosse un’occupazione temporanea. Infatti, avevo già un posto alla London School of Economics, dove volevo fare un Master in relazioni internazionali, quando il mio responsabile del servizio giuridico in CSS mi disse: “guarda che abbiamo delle proposte per la tua carriera, vorremmo che tu diventassi responsabile di del team giuridico di tutta la Svizzera”. Così è successo. Ho ristrutturato tutto il servizio giuridico e ho creato il legal and compliance department. Quando ho iniziato eravamo in e tre, alla fine eravamo in 25. Da quel momento, contrariamente a quanto avevo ipotizzato, la mia carriera si è svolta tutta in CSS: sono diventata segretario generale, poi vice CEO e infine CEO. Da allora sono passati 25 anni durante i quali non è che mi sia accomodata o non abbia pensato di fare altre esperienze. Devo dire che le offerte, anche interessanti non sono mancate. In Svizzera e all’estero. Una, anche pochi anni fa, che mi avrebbe costretta ad a andare a Milano. Il fatto è che mi sono trovata in una fase costante trasformazione dell’azienda che, pur mantenendo il profilo sociale che le deriva dall’essere originariamente un’associazione, ho trasformato in una holding caratterizzandola, con un’impronta maggiormente economica, e che è diventata leader nel settore delle assicurazioni malattia. Un percorso che è stato segnato da tanti traguardi intermedi, che si sono succeduti: ne avevo penna tagliato uno che subito se ne ripresentava un altro. Ovviamente, questo è stato possibile grazie al sostegno e alla fiducia di cui ho goduto. Non avevo intenzione di restare in CSS

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20 I numeri UNO - 2024 In questi anni, oltre a seguire questi fondamentali processi di trasformazione, per esserne all’altezza, ho continuato ad acquisire nuove competenze, in modo particolare per quanto attiene all’accounting e, in generale, alla gestione finanziaria. Sono finalmente andata alla London Business School, dove ho seguito un programma di management. Ultimamente all’IMD Business School (International Institute for Management Development) di Losanna, ho conseguito un Digital Excellence Diploma. La digitalizzazione, la modernizzazione di un’azienda, senza però mutarne il suo DNA, sono sempre state un po’ il leitmotiv della mia carriera. Pur avendo raggiunto il vertice aziendale, non ho mai avuto la percezione di essere stata in qualche modo penalizzata, men che meno avvantaggiata, dal fatto di essere donna. Mi rendo conto che solitamente quando si parla di manager a questi livelli, si pensa ad un mondo soprattutto declinato al maschile. Per quanto mi riguarda, all’interno della CSS sono stata sempre sostenuta da uomini. Tutti i miei predecessori lo erano. Molto dipende anche dal fatto che io la ‘scalata’ non l’ho mai pianificata. Mi sono sempre interessati contenuti, non la gestione del potere. Quando si è presentata l’occasione, ci ho pensato e ho deciso di candidarmi. Ma è stata una valutazione del momento, non un obiettivo. Credo che essere diventata CEO soprattutto perché il mio profilo corrispondeva a quello necessario ad un’azienda che si propone di essere un riferimento per la Svizzera multilingue e multiculturale. In tal senso, le mie competenze, la mia aspirazione a saper e voler dialogare con lingue e culture diverse, possono aver costituito un valore aggiunto. Davvero penalizzata, o comunque trattata ingiustamente, mi sono sentita recentemente, lo scorso anno. Ma in questo caso, non so se semplicemente in quanto donna, o piuttosto perché vengo considerata una donna di successo, e quindi soggetta a quell’invidia che taluni manager, o aspiranti tali, covano nei confronti di loro omologhi concorrenti. Credo però che nei confronti di una donna, la soglia di autocontrollo delle proprie reazioni si abbassi Innovazione come leitmotiv

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22 I numeri UNO - 2024 Mi trovo ora a capo della più grande società di assicurazioni malattia in Svizzera, consapevole che, puntualmente almeno una volta l’anno, ci troviamo al centro di discussioni che accompagnano gli aumenti. Quando sono diventata CEO la mia strategia è stata di voler proporre premi al di sotto della media svizzera. Cosa che negli ultimi sette anni, fino all’anno scorso, ci è riuscita. Quest’anno non ce l’abbiamo fatta. Dobbiamo infatti rimpolpare le nostre riserve che si sono assottigliate durante la pandemia, assecondando le richieste del Consigliere federale Berset, che ci chiedeva di utilizzare i soldi che avevamo di scorta per non gravare sui premi. Lo abbiamo fatto - riducendo del 2,8%, quota per noi rilevante, ma di cui gli assicurati non hanno avuto una netta percezione - ben sapendo che poi quelle riserve le avremmo dovute ricostituire, cosa che naturalmente abbiamo fatto, per garantire la solvibilità della cassa malati. La CSS ha 1,8milioni di assicurati e spese settimanali per prestazioni pari a 130 milioni di franchi. Dal nostro osservatorio rileviamo che son in aumento le malattie psichiche, mentre sempre di più sono le cure a cui si ricorre per migliorare il nostro stile di vita che sono coperte dall’assicurazione di base. Per quanto la digitalizzazione sia importante e sicuramente irreversibile, non lasciamo che sostituisca il contatto umano. Malgrado sia una scelta onerosa, noi manteniamo ancora oggi 100 agenzie dislocate sul territorio. Abbiamo però già 1 milione e 100mila associati che utilizzano il nostro portale MyCSS, che consente di effettuare tutte le operazioni online. Comunque, presso le nostre agenzie noi seguiamo i nostri associati, soprattutto quelli che non hanno dimestichezza con il mondo digitale, accompagnandoli nell’onboarding fino a quando sono in grado di fruire in modo autonomo dei servizi offerti dal portale. Per ora manteniamo questa doppia pista, operando affinché una delle due diventi obsoleta in quanto non più richiesta. Il capitale umano

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26 I numeri UNO - 2024 La Svizzera per me è Heimat, la mia vita, il mio habitat, il mio perimetro. È casa. Questo non significa che non ne veda le criticità. Allo stesso modo in cui le vedrei se fossi nata e vivessi in un altro Paese. Mi dà ordine, struttura, sicurezza: garantisce il mio senso di orientamento. L’Italia è Fernweh, mi dà quel senso di nostalgia, perché la sento parte di me. Concorre a determinare il mio carattere. Che non è italiano o svizzero, ma è la sintesi dell’italianità e della svizzeritudine che forgiano la mia personalità. Credo proprio che sia questa sintesi che mi rende quella manager che sono oggi. Che mi rende propositiva, creativa, dinamica, energica, pronta ad andare oltre i limiti. Che smussa le rigidità, che inietta ottimismo e positività. Che mi rende resiliente. Un termine abusato, che non mi piace e che abbiamo imparato nei tempi brutti della pandemia, ma che rende bene il concetto: possiamo piegarci, ma non ci spezziamo. Visto in questi termini, credo di poter affermare che questo amalgama fra italianità e svizzeritudine lo vivo con un valore aggiunto. Mio marito è italiano, quindi la lingua di casa è l’italiano. Il nostro rapporto nasce in italiano, suonerebbe artificiale se ora, pur vivendo in un contesto non italofono, comunicassimo in un’altra lingua. E questo nonostante io non abbia frequentato esclusivamente un ambiente italofono. Come detto, mi sono ben presto integrata nella comunità locale. Io la comunità italiana, di cui naturalmente mi sento parte, l’ho vissuta di riflesso. Mio padre è stato, ed ancora oggi lo è, molto attivo fra i nostri connazionali. Qui a Lucerna è un punto di riferimento per tutti coloro che hanno bisogno di un consiglio, di un chiarimento di trovare una soluzione a qualche problema non solo amministrativo o burocratico. Lo ha fatto per tutta la vita e continua a farlo ogni giorno. Considero una cosa molto bella questa sua capacità di mettersi a disposizione degli altri. Mi rendo conto che non gliel’ho mai detto. Talvolta mi chiedo se quando lui non ci sarà più, ci sarà qualcuno che prenderà il suo posto. Per quanto mi riguarda, al di fuori del mio ambito professionale, dove mi sento molto affine ai collaboratori italiani, o comunque di lingua italiana, visto che siamo molto presenti anche Ticino, i miei rapporti con la comunità italiana sono correlati alla casualità. Un esempio è stato il mio coinvolgimento nei corsi organizzati dall’Uni3. Dopo di che, è con un senso di dichiarata fierezza che il 2 giugno 2023 sono stata insignita del titolo di Cavaliere della Repubblica. Il valore aggiunto

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28 I numeri UNO - 2024 Per la traiettoria che ha avuto la mia vita, fin dall’indirizzo che le ha dato mio padre fin dall’inizio, non mi sono mai sentita un’emigrata, un’italiana all’estero. Non ho mai avuto quella sensazione, che i sociologi definiscono weder noch, di essere né carne né pesce, che di solito viene attribuito ai figli degli emigrati di prima generazione: stranieri in Svizzera e stranieri in Italia. Io in Svizzera, come detto, mi sono sempre sentita a casa, e in Italia mi sentivo… sempre perfettamente a mio agio: ogni volta era un full immersion in quell’italianità che per me erano gli umori e i colori locali, era la letteratura, i festival di musica jazz, erano gli spettacoli all’aperto, erano le piazze, gli incontri con gli amici di mio marito, tutti a modo loro intellettuali, nel senso che andavano tutti all’università, per questo estremamente affascinanti. Ciò non toglie che anch’io, quasi inconsciamente soffra di quella che potremmo definire la sindrome dei Secondos, come genericamente veniamo definiti noi figli d’italiani emigrati. Non lo vivo certamente come un fatto traumatico, al contrario è probabilmente uno stimolo in più ad andare avanti a fare le cose per ben, in fin dei conti ad affermarmi.. Per il lavoro che svolgo, per l’incarico che copro, non ho molto tempo libero, c’è una cosa che però coltivo da sempre con grande dedizione: le amicizie. Non quelle acquisite per ragioni di lavoro o professionali, che pur ci sono. In questo caso mi riferisco alle amicizie che mi accompagnano fin da bambina: con loro resto sempre Philomena. Con la Ph. Non è un vezzo, né un omaggio alla classicità greca. Semplicemente un lascito di un amico avvocato di mio padre, che ha sempre detto che il mio nome andava scritto con la Ph. Così è rimasto. Scritto con la Ph

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30 I numeri UNO - 2024 © Susanna Drescher

31 I numeri UNO - 2024 Nata in Sicilia, si trasferisce a Basilea, dove vive tutt’ora, per studiare clavicembalo alla Schola Cantorum Basiliensis, perfezionandosi in seguito ad Amsterdam col Maestro Gustav Leonhardt. Nel 1990 fonda l’orchestra barocca, MUSICA FIORITA, specializzata per la musica del ‘600 e ‘700. Intensa l’attività come clavicembalista e direttore d’orchestra con concerti, spettacoli d’opera, registrazioni televisive, radiofoniche e discografiche sia con MUSICA FIORITA che con altri Ensemble in Europa, Sudamerica, India, Unione Sovietica, Paesi Baltici e Giappone. Si è occupata di ricerche musicali su autori e autrici meno conosciuti del periodo barocco, riportandoli alla luce con concerti e registrazioni. Cura l’aspetto pedagogico tenendo lezioni/conferenze soprattutto sulle compositrici e sulla prassi esecutiva della musica antica, masterclass di basso continuo e musica da camera. In occasione del 30° anniversario del suo Ensemble, ha concluso questa attività nel 2020. Dal 1985 al 2012 è stata Presidente dell’Associazione svizzera “Förderung des Werkes von Danilo Dolci – CH” per la divulgazione e la promozione dell’opera di Dolci, organizzando conferenze, convegni, traducendo e pubblicando testi di Dolci in lingua tedesca e contribuendo finanziariamente alla realizzazione di numerosi progetti in Sicilia. Dal 2021 si dedica assiduamente alla ricostruzione del Centro di Formazione Borgo di Trappeto in Sicilia. Crede nella musica come ad un linguaggio universale che contribuisce a sviluppare e affinare la capacità di ascolto. Linguaggio che si rivela mediatore di sensibilità, comprensione, rispetto e amore tra le diverse culture. Nel 2006 Daniela Dolci ha ricevuto il riconoscimento onorario di «Ambasciatrice di Pace attraverso la Musica» dalla Comunità indios di Chiquito, in Bolivia, nel 2008 dalla Repubblica Italiana l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana, nel 2010 il Premio «Hans Roth» dalla Bolivia, nel 2019 il premio culturale europeo «Yoeurope» della Fondazione culturale PRO EUROPA e nel 2024 il Premio Zingarelli (per il lavoro di ristrutturazione e rilancio intrapreso al Borgo di Trappeto). È stata membro del Consiglio Universitario di Basilea dal 2014 al 2021. Daniela Dolci Musicista I NUMERI 2024

32 I numeri UNO - 2024 La musica è un linguaggio universale Sono nata in Sicilia, a Partinico, a 50 chilometri di distanza da Palermo, da padre triestino e madre siciliana. Considero le mie radici siciliane determinanti per alcune scelte che ho fatto nella mia vita. Mio padre Danilo, personalità poliedrica, educatore e attivista della nonviolenza, si era trasferito in Sicilia nel 1952, per svolgere attività sociale e ci rimase per tutta la vita. Mia madre, una donna speciale, sensibile, forte e coraggiosa, sostenne attivamente e sostanzialmente il lavoro di mio padre, ne fu il pilastro principale. Senza di lei, lui non sarebbe riuscito a fare tutto quello che poi ha fatto. Sono cresciuta a Trappeto, un Comune situato sulla costa del Golfo di Castellammare, dove mio padre nel 1968 ha costruito il Centro di formazione “Borgo di Dio”, oggi denominato “Borgo Danilo Dolci” e dove, per quasi quarant’anni, organizzò incontri, seminari, corsi anche internazionali con esperti che venivano da tutto il mondo. Dall’America e dall’Europa, ma anche da Africa e Vietnam, soprattutto negli anni in cui la guerra in Estremo Oriente animava il dibattito politico, con tutte le implicazioni sociali che ciò comportava. Al Borgo ho avuto un’infanzia estremamente bella, resa oltremodo interessante, seppur in modo inconsapevole allora, per me bambina, dagli incontri e dalle attività che animavano ed erano promosse dal Centro. Sono consapevole del fatto che quello non era il contesto tipico in cui crescevano i miei coetanei siciliani, anche se il Centro organizzava corsi e seminari per ragazzi di musica, di pittura, di mosaico, creta e quanto altro. A Monreale c’è una delle scuole di mosaico più importanti d’Europa i cui docenti tenevano corsi anche al Centro. Fatto sta, che per me era normale pranzare con persone che magari erano dei Premi Nobel, senza naturalmente avere consapevolezza di cosa ciò significasse: per me dirimente era che fossero simpatici o antipatici. Indubbiamente, non foss’altro per osmosi, essere immersa in quell’ambiente è stato molto arricchente. In qualche modo, avvertivo di essere diversa dai miei compagni di scuola. Già il fatto che io e i miei fratelli non eravamo battezzati, ci rendeva oggetto di scherno. Poi, siccome i miei genitori con noi figli parlavano apertamente di tutti i problemi, compresi quelli delicatissimi che riguardavano il loro impegno nella lotta alla mafia, sia io che i miei fratelli abbiamo fin da piccoli imparato a distinguere cosa potessimo dire o non dire pubblicamente, per esempio a scuola, luogo frequentato anche dai figli dei mafiosi. Tutto questo mi ha consentito di acquisire la capacità di gestire le situazioni potenzialmente conflittuali. In generale, sono stati vibranti gli anni della mia infanzia in Sicilia. Questione di metodo… e di apertura mentale

33 I numeri UNO - 2024 All’inizio fu il flauto dolce A 11 anni, durante una vacanza estiva da amici svizzeri a Berna, ad un concerto, scopersi il clavicembalo e subito me ne innamorai. Decisi che avrei imparato a suonarlo. Tornata in Sicilia per finire le scuole, iniziai a prendere lezioni private, per cercare di famigliarizzarmi con questo strumento che tanto mi affascinava. La musica è sempre stata molto, molto importante nella nostra famiglia: mio padre, suonava molto bene il pianoforte e desiderava che tutti noi figli avessimo l’opportunità di suonare qualche strumento. Non è un caso che tre dei cinque figli, me compresa, siano poi diventati musicisti professionisti. Inizialmente, stante che le disponibilità finanziarie di mio padre non gli consentivano di permettere a ciascuno di noi di prendere lezioni con uno strumento diverso, che fosse il pianoforte, il violino, il violoncello o un altro, scelse di introdurci alla musica attraverso uno strumento semplice ed economico: il flauto dolce. Scelta molto probabilmente facilitata dal fatto che, grazie alla sua attività al Centro di formazione, mio padre aveva conosciuto la famiglia Küng di Sciaffusa, che produceva questi strumenti e ce li ha forniti direttamente. Inoltre, la cognata del proprietario di questa ditta era una musicista, una pianista, e abitava a Berna. Da questa conoscenza, che poi diventerà un’amicizia, deriva l’opportunità di quella mia vacanza estiva, memorabile per via della scoperta del clavicembalo. Quando infatti ho sentito suonare questo strumento, ho capito istintivamente che era portante, il fondamento per la musica da camera, dato che offre possibilità ritmiche e armoniche. Terminato il ciclo di scuole obbligatorie a Trappeto, a 15 anni torno in Svizzera. Questa volta per restarci e intraprendere, alla Schola Cantorum Basiliensis, a Basilea appunto, lo studio di musica antica con specializzazione sugli strumenti a tastiera. Io a 11 anni ero molto brava con il flauto dolce. Facevo concerti, anche con l’orchestra. Mi ricordo che già a 9 anni ne avevo fatto uno a Perugia con l’orchestra della città. Pur essendo ancora piccola e inesperta, mi rendevo però conto che questo strumento si prestava ad un utilizzo limitato. Così ho incominciato a desiderare uno strumento più complesso, più significativo nell’esecuzione di musica da camera. Naturalmente, suonando il flauto dolce, mi ero mossa nel mondo della musica barocca. In tal modo, il clavicembalo è ideale come riferimento per tutta un’orchestra. Non è un caso che nel periodo barocco non ci fossero direttori d’orchestra, mentre c’era il maestro al cimbalo che dal clavicembalo dirigeva tutta un’orchestra. La cosa mi affascinò a tal punto che più tardi, dopo essermi diplomata come Maestro di cimbalo (sono un Maestro e non una maestra!), nel 1990 ho fondato la mia orchestra barocca, Musica Fiorita, con la quale per 30 anni ho vissuto un’esperienza professionale e umana bellissima, indimenticabile, viaggiando per tutto il mondo.

34 I numeri UNO - 2024 Da bambina mi pare di aver vagheggiato di voler fare l’attrice, sono certa però che in un preciso e breve momento ho desiderato, emotivamente in maniera molto forte, di diventare ballerina. Mio padre aveva la splendida abitudine (che consiglierei a ogni padre che lo possa fare), di portare con sé una volta all’anno uno dei figli in uno dei suoi viaggi più significativi. C’è chi è stato in Cina con lui, chi è stato in America, chi altrove. Io, avevo più o meno 10 anni, ho avuto la possibilità di fare con lui un bellissimo e lungo viaggio in Russia, nei paesi baltici e in quelli scandinavi. Arrivati a Mosca, mi ha portato al Bolshoi a vedere il Lago dei Cigni, un classico per chi ama la musica e la danza. Profondamente toccata dalla storia, iniziai a piangere e, in quel frangente, mi innamorai come può farlo una bambina, del balletto. Finita la rappresentazione, confidai questa mia improvvisa passione a mio padre, dicendogli che avrei voluto diventare una ballerina. Lui, amoroso com’è sempre stato nei miei confronti, ma lapidario, mi ha detto: “capisco il tuo desiderio, ma te lo devi dimenticare”. Io lo guardo e gli chiedo: “perché?” “Perché sei troppo vecchia”. E la cosa si chiuse lì. Con il senno di poi, ne sono felice. La musica è sempre stata il filo conduttore della mia vita e attraverso la musica ho sempre saputo esprimermi meglio che con le parole. Proprio perché la musica è un linguaggio universale che consente, come è successo a me, di abbattere barriere, di costruire ponti con altre culture e altri popoli. Fondamentale nelle relazioni umane. Troppo vecchia per fare la ballerina

35 I numeri UNO - 2024 © Susanna Drescher

36 I numeri UNO - 2024 Decidere di andare a studiare a Basilea è stata una scelta naturale. Nella città sul Reno c’era, e c’è tuttora, l’istituto per l’insegnamento, la produzione, la ricerca, la riscoperta e l’esecuzione della musica antica: la Schola Cantorum Basiliensis, fondata nel 1933 da Paul Sacher, il grande mecenate che per Basilea ha fatto moltissimo. L’impatto è stato sicuramente non semplice. Iniziai subito a imparare il tedesco, applicandomi con disciplina almeno quattro ore al giorno e in breve tempo iniziai a parlare la lingua. Ovviamente non bastava, perché estremamente utile è conoscere anche lo Schwiizerdütsch. È stato duro, studiavo clavicembalo anche 12/13 ore al giorno, perché contemporaneamente preparavo gli esami di ammissione alla Schola Cantorum, ma ero felicissima e ce l’ho fatta: ho superato gli esami e imparato la lingua locale. Mi ero prefissata di accelerare i tempi: completare lo studio in 6 semestri, anziché nei canonici 8, perché volevo al più presto ritornare in Sicilia a svolgere attività sociale in ambito musicale. Ma, proprio nell’ultimo anno, ho conosciuto il mio futuro marito e la cosa si complicò, perché fin da subito mi accorsi che era una persona eccezionale. Dopo 44 anni, siamo ancora insieme: è stata ed è sempre ancora un’esperienza molto, molto bella. Non volevo rinunciare a lui e, al contempo, non ritornando giù, avevo la sensazione di tradire la Sicilia. Decisi allora di parlarne con mio padre. Gli telefonai e lui mi ascoltò con l’attenzione che sempre mi riservava e mi disse: “naturalmente la decisione la puoi prendere solamente tu, io posso garantirti che i ponti si possono costruire ovunque”. Le sue furono parole fondamentali. Decisi, senza mai averlo rimpianto, di rimanere in Svizzera, e fin da subito iniziai a costruire ponti con la Sicilia e continuo a farlo tutt’ora. I ponti si possono costruire ovunque

37 I numeri UNO - 2024 © Susanna Drescher

38 I numeri UNO - 2024 Dopo essermi diplomata alla Schola Cantorum, ho avuto la possibilità di frequentare ad Amsterdam le lezioni di un grande maestro di clavicembalo a livello mondiale come Gustav Leonhardt, acquisendo una specializzazione ad altissimo livello e iniziando così la mia carriera di musicista. Inizialmente, per quasi 10 anni, come solista. Anche per il clavicembalo c’è un corposo repertorio solistico di grandi autori del ‘700 come Bach e Händel. Non è stato facile, perché nel frattempo avevamo creato una famiglia, dalla quale sono nate le nostre tre figlie. Date le condizioni socio/culturali di allora, non era scontato conciliare la vita privata con gli impegni professionali. Certo, mio marito, berlinese, anche lui musicista, ex flautista alla Berliner Filarmonica, sotto la direzione di Herbert von Karajan, comprendeva perfettamente le mie esigenze e mi ha sempre sostenuto. Però, anche lui aveva i suoi impegni di lavoro. A quei tempi, stiamo parlando di circa 40 anni fa, non c’erano tutte le infrastrutture che, seppur in modo non ancora sufficiente, aiutano oggi le madri che lo desiderano a non dover sacrificare la carriera. Nel mio caso, pur tra mille difficoltà, la carriera ha avuto un’evoluzione più che soddisfacente. Dopo l’esperienza come solista, nel 1990, come già accennato, costituisco l’orchestra barocca Musica Fiorita, i cui componenti, in buona parte originari di Paesi sudamericani o mediterranei, provenivano anch’essi dalla Schola Cantorum di Basilea, la quale, godendo di un altissimo credito, aveva, e ancora oggi ha, una forte caratura internazionale. Da quel momento, la mia vita professionale è stata di una vivacità e di una ricchezza entusiasmanti, con tournée, più volte ripetute, che mi hanno consentito di esibirmi in gran parte del mondo. In Europa, dopo la caduta del muro di Berlino, ho sperimentato direttamente quanto grande fosse l’interesse nei confronti della musica antica, che prima della dissoluzione dell’Unione sovietica era proibita, al pari di tutta la musica che proveniva dall’Occidente. Innumerevoli sono stati i concerti e i corsi che ho tenuto in tutte le principali città russe e dell’Europa dell’Est. L’esperienza dell’Orchestra Musica Fiorita si è conclusa nel 2020, dopo 30 anni di attività ad altissimo livello. Conseguenza dell’arrivo del Covid. Non aver più la possibilità di viaggiare, di tenere concerti, per un periodo che è durato un anno e mezzo, le ha tolto ogni possibilità di sopravvivenza. A quel punto, anche perché non era più economicamente sostenibile, ho deciso di dare un taglio netto ponendo fine a quell’esperienza, comunque lunga e così bella, viva ed intensa, da non meritarsi una lenta ed ingloriosa agonia. Si trattava ora di decidere cosa sarebbe stato del mio futuro: fin lì, la musica era sempre stata la mia fonte di creatività e di vita. Come tutti, ho trascorso, quella lunga parentesi che ha costretto ciascuno di noi a chiudersi nel suo piccolo mondo, a leggere - mai letto tanto in vita mia! - e a riflettere. E a fare lunghe passeggiate, cercando conforto nella natura, avvalendomi della fortuna di abitare vicino a dei boschi. L’orchestra Musica Fiorita

39 I numeri UNO - 2024 © Susanna Drescher

40 I numeri UNO - 2024 Quando nel settembre del 2021 sono tornata in Sicilia, cercando di capire come fosse la situazione al Borgo (visto lo stato in cui si trovava il Centro, abbandonato da anni all’incuria dei vandali), ho deciso di prendere in mano la situazione. In questi quasi cinquant’anni vissuti in Svizzera, ho mantenuto saldi i miei legami con la Sicilia, interessata al lavoro che si svolgeva in ambito sociale e culturale. Ho sempre avuto un rapporto molto intenso con quest’isola, non sempre facile. Un rapporto di amore e odio. Amore, perché c’è una potenzialità enorme, sia di bellezza del paesaggio che di persone capaci e volenterose. Odio per l’enorme spreco in tanti settori, il ché mi dà ogni volta tanta frustrazione. Come aveva affermato mio padre, i ponti con la Sicilia li ho costruiti anche rimanendo lontana. Ed è per questa ragione, che ho accettato di diventare presidente – lo sono rimasta per 20 anni - del comitato svizzero “Förderung des Werkes von Danilo Dolci – CH” che dal 1962 fino al 2012, cioè per 50 anni, ha sostenuto in maniera sostanziale raccogliendo fondi, le attività e l’impegno sociale in Sicilia del Centro Studi e Iniziative creato da mio padre. Purtroppo, con la sua morte anche l’attività del Centro finì per ridursi, fino praticamente a scomparire. Quando, appunto nell’autunno del 2021, ho potuto constatare di persona il grado di deperimento in cui si trovavano gli edifici dove il Centro aveva sede, decisi che mi sarei impegnata per tentare di ridargli una nuova vita. Tutti coloro, che, grosso modo, fra il 1970 e il 2000, avevano avuto l’occasione di incrociare la vita del Centro, ne avevano apprezzato anche la struttura architettonica, la posizione, la possibilità di lavorare in un contesto che favoriva la concentrazione, immerso nella natura e con una vista mozzafiato sul Tirreno. Ho pensato che queste caratteristiche e questo patrimonio potessero essere di indubbio interesse ancora oggi. Sarebbe stato un enorme spreco non valorizzare questa struttura. Per esserne sicura ho condotto una sorta di sondaggio empirico, sia in Italia che in Svizzera, riscontrando reazioni positive da università, associazioni e altre istituzioni che si occupano di sviluppo sociale. In generale, si ritiene che riattivare un Centro come quello, per la Sicilia, che da più di duemila anni rappresenta il fulcro del Mediterraneo, ma anche per l’Italia, sarebbe un fatto meraviglioso. Per cui, assieme ai miei fratelli e ad alcuni collaboratori, ho deciso di costituire dapprima una Società senza scopi di lucro in Sicilia, la Società Borgo Danilo Dolci, poi di crearne una anche in Svizzera, la Danilo Dolci - Gesellschaft. Ultimamente, sempre in Sicilia, stiamo costituendo la Fondazione Borgo Danilo Dolci, importante per poter accedere anche a finanziamenti europei. Per ora, grazie alla società costituita in Svizzera ho avuto la possibilità di reperire dei fondi che ci hanno permesso di completare la prima fase di ristrutturazione del Borgo. Questo, seppur parzialmente, è già tornato operativo grazie anche alla presenza di un responsabile, il quale vi abita, gestisce gli spazi, pianifica le attività e si prende cura degli ospiti. Si tratta ora di procedere con le due fasi successive, per le quali servono altre risorse finanziarie. Un rapporto di amore e odio

41 I numeri UNO - 2024 Avviando questo progetto, risolvendo tutte le pratiche burocratiche, ci siamo resi conto che coloro che avevano vandalizzato il Centro, altri non erano che ragazzi del posto. Tutti giovanissimi, fra i 13 e i 16 anni, i quali, non trovando in paese infrastrutture adeguate alle loro esigenze, avevano sfogato la loro insoddisfazione, la loro frustrazione e la loro carica distruttiva, occupando quegli spazi che erano rimasti vuoti. Informata di questo, ho chiesto ai miei fratelli di invitare questi ragazzi a degli incontri con noi, per capire i motivi che li spingevano a sfogare in quel modo la loro aggressività. Mi sono recata in Sicilia e ogni sera dalle 5 alle 8 li abbiamo incontrati. Inizialmente, sono venuti in tre: ragazzini di 13 anni tutti tentennanti in attesa di capire cosa li aspettasse. Ci siamo seduti in cerchio, li abbiamo fatti parlare, abbiamo descritto loro il nostro progetto di restauro del Centro, spiegando che, se lo volevano, sarebbe diventato un punto di riferimento anche per loro. Il giorno successivo sono venuti in sei, dopo tre giorni in dieci. Alla fine, seduti in cerchio con noi c’erano venti ragazzi disposti a trovare insieme le soluzioni per riuscire a gestire i conflitti, le frustrazioni, ma anche a disegnare con noi nuove prospettive. È stata un’esperienza fondamentale e bellissima. Grazie a otto volontari, i quali due volte alla settimana si dedicano espressamente a capire e soddisfare, laddove possibile, le esigenze di questi giovani e con loro svolgono attività ludico/ricreative, questi ragazzi ora si sentono co-responsabili del Borgo. Non è stato facile, perché il Comune di Trappeto solo adesso è finalmente riuscito a comprendere che quello che stiamo facendo è una grossa opportunità anche per l’amministrazione locale. Finalmente si è detto disposto a collaborare, sperando di riuscire a superare l’ostacolo più arduo, costituito da una logorante burocratica lentezza. Comunque, segnali positivi, a partire dalle attività che già si fanno con i ragazzi del luogo, ci sono. Si è manifestato interesse anche da gruppi dal Nord Italia e ora speriamo che lo stesso accada dall’estero. L’obiettivo è far rinascere il Borgo, con una struttura che possa essere utilizzata e sia a disposizione di chi vive lì, tornando ad essere un punto d’incontro, di confronto e di riflessione anche a livello internazionale, ritrovando sintonia con quello che fu lo spirito originario che ne ha determinato la nascita. Un’esperienza bellissima

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43 I numeri UNO - 2024

44 I numeri UNO - 2024 La sfida è ambiziosa: mi sono data dieci anni di tempo per riuscire a portare a termine tutta la ristrutturazione, tre dei quali sono già passati. Il complesso architettonico è grande. Nell’immediato, dobbiamo ristrutturare tre sale di riunioni e l’auditorium, uno spazio per attività culturali con più di 300 posti a sedere, in grado di ospitare, come d’altronde succedeva un tempo, anche grossi convegni. Interventi che necessitano parecchio tempo e adeguate risorse finanziarie. Ormai è un progetto che mi vede impegnata al cento per cento. Risiedendo in Svizzera, cerco di trovare qua nuove fonti di finanziamento, curando con la necessaria attenzione le relazioni con chi il sostegno già ce lo dà. Fra le donatrici e i donatori ce ne sono alcuni che avevano creduto nel mio lavoro di musicista e contribuivano al sostentamento della nostra orchestra. Costoro, dopo che Musica Fiorita è stata sciolta, avuta conoscenza del mio progetto, hanno continuato a sostenermi, facendo convergere su di esso le loro donazioni. Parallelamente, seguo il lavoro pratico da coordinare in Sicilia, dove ormai vado regolarmente, almeno una volta al mese. È soprattutto in questo frangente che mi rendo conto di quanto fosse fondamentale una figura visionaria come quella di mio padre. Lui era un carro armato, con una forza incredibile e capace di coinvolgere moltissime persone nel processo di sviluppo della zona. A questa consapevolezza si aggiunge la percezione sempre più struggente di quanto mi manchino la musica e il lavoro con i musicisti della mia orchestra. I musicisti li avevo scelti personalmente ed erano uno più bravo dell’altro. Tutti straordinari interpreti di musica antica. Lavorare con loro è stato particolarmente gratificante. Una sfida ambiziosa

45 I numeri UNO - 2024 © Susanna Drescher

46 I numeri UNO - 2024 Se penso all’Italia, alla Sicilia in particolare, penso, l’ho già affermato più volte, che lì, ho le mie radici. Più in generale, vedo le enormi potenzialità culturali dell’isola, del Paese. Patrimonio culturale insito della storia passata. In quanto studiosa della musica barocca, ho fatto molte ricerche musicali sul periodo dal primo ‘600 alla fine del ‘700, immergendomi anche nella dimensione sociale di quell’epoca. Tra le altre cose, ho scoperto che molte erano le compositrici, spesso eccellenti e ben riconosciute dai loro colleghi. Realtà che non è purtroppo di pubblico dominio, ma, grazie anche alle numerose registrazioni discografiche, le abbiamo riportate in luce all’odierno ascoltatore. È solo un esempio legato alla mia esperienza professionale che mi induce a pensare che la forza dell’Italia stia soprattutto nel suo passato e che negli ultimi decenni non si è stati in grado di valorizzare. Una tendenza che mi pare si stia diffondendo in tutta l’Europa, dove noto un certo impoverimento culturale. E ne temo le conseguenze. Non vedo e non sento più in Italia quell’energia, quella forza motrice che nei secoli scorsi ha saputo veicolare nel mondo nuovi impulsi, nuova creatività, nuove possibilità d’espressione. La Svizzera, lo testimoniano i miei ultimi 48 anni, è diventata casa. Qui ho conosciuto mio marito e ho creato una famiglia, le mie figlie vi sono cresciute. Qui mi sono affermata professionalmente. La considero un modello di convivenza politica e sociale, di cui mi sento partecipe – sono anche cittadina svizzera - che andrebbe copiato. Ne apprezzo il diffuso senso civico, il rispetto per la natura. Ne parlo la lingua. Con le mie figlie parlo però l’italiano. Con i nipotini, che vedo troppo raramente, parlo in tedesco. Anche se, in verità, con loro facciamo molti giochi in italiano. Piano piano, in modo giocoso, un po’ lo stanno imparando. Temo l’impoverimento culturale

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