72 I numeri UNO - 2024 Il mio lavoro di tesi era centrato sui fullereni, una forma allotropica del carbonio. Non molto tempo prima nel 1996, il Nobel era stato assegnato ad Harold Kroto, un ricercatore inglese che aveva scoperto questa forma allotropica del carbonio la terza. Prima, infatti, se ne conoscevano due: la grafite e il diamante. Di questi fullereni, il più stabile e quindi più famoso di tutti era quello che poi chiamarono con il nome mutuato da quello di Richard Buckminster Fuller, l’architetto celebre per aver diffuso la cupola geodetica, con la forma del poliedro che identifica tutti i fullereni con struttura molecolare approssimativamente sferica o ellissoidale, vagamente assimilabile ad un pallone da calcio. Da qui anche il nome scherzoso “buckyball”. Lo studio di questi fullereni, mi aveva decisamente preso. Rappresentavano un terreno piuttosto inesplorato. Per esempio, non si sapeva ancora molto delle loro proprietà spettroscopiche, di come interagivano e di come funzionavano. C’erano comunque già molte aspettative sul loro utilizzo, perché si pensava che potessero avere applicazioni nelle nanotecnologie o anche, esempio pratico, per quelle lenti che cambiano in base alla luminosità. Insomma, c’era quel tanto di attraente e stimolante da giustificare i sei mesi che ho dedicato alla stesura della mia tesi. Mesi durante i quali avevo consolidato la convinzione che non mi sarei fermata lì. Che avrei comunque continuato con un dottorato di ricerca, per approfondire quegli argomenti. Che quel dottorato, sempre di ricerca teorica e computazionale e non sperimentale, io l’avrei fatto all’estero. Bologna, a quel punto, mi andava stretta, l’Italia mi andava stretta. D’altronde, lo stesso professore con cui avevo fatto la tesi, sapendo del mio interesse per questa nuova forma di carbonio, mi spronava a cercare realtà dove effettivamente potessi svilupparlo. Ho iniziato così ad inviare e-mail, eravamo agli esordi di questa innovativa modalità di comunicazione, a destra e a manca. Contattando diversi gruppi di ricerca che sapevo si occupavano di quei temi che mi interessavano. Ad un cero punto, l’Inghilterra si configurò come una possibile destinazione. Non fosse che, proprio mentre mi accingevo a prendere questa decisione, io abbia conosciuto un giovane professore, in visita a Bologna, che si occupava proprio di ricerca sui fullereni e sul carbonio in generale. Conosciute le mie intenzioni, mi propose di seguirlo in Belgio, dove lui stava iniziando la sua carriera accademica e io avrei potuto fare il mio dottorato. Fu così che, accantonata l’idea di andare in Inghilterra, mi sono trasferita in Belgio: dapprima, all’università di Hasselt nel Limburgo, poi, in ricerca congiunta con l’università di Anversa. Lì, diversamente da quanto è possibile fare, ad esempio, negli Stati Uniti dove puoi trascinare il tuo studio all’infinito, ho portato a termine il mio dottorato nei quattro anni che rappresentavo il termine stabilito tassativamente. Folgorata dai… fullereni
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