140 I numeri UNO - 2024 L’università l’ho fatta a Bologna. Lì ho continuato a giocare a pallavolo, nella seconda squadra di una compagine, la Zinella Bologna, che giocava in Serie A. Non fosse che, passati un paio d’anni, mi sono reso conto che io, in questo caso, il salto non l’avrei fatto e in Serie A non avrei mai giocato. Allora mi sono detto: chi me lo fa fare di continuar ad occupare 4 sere la settimana, con gli allenamenti, e i sabati e le domeniche con le partite in piccoli centri delle Marche o della Toscana, mentre i miei amici, a seconda della stagione andavano a sciare o a divertirsi sulla Riviera romagnola? Ecco, dunque, che a 21 anni, senza che fosse intervenuto un infortunio, decido di porre fine alla mia avventura sportiva competitiva, che avevo iniziato a 12 anni e che mi era piaciuta e servita moltissimo, perché lo sport è stato una concreta ed utile palestra di vita. In coincidenza con quella decisione, il presidente di questa squadra di Serie A mi dice: “ho visto che tu hai un bel rapporto sia con i giovani, che con i giocatori più esperti – di solito erano quelli ormai troppo anziani per giocare in prima squadra - perché non fai il responsabile del nostro settore giovanile?”. D’accordo, ho pensato, a patto che non mi porti via troppo tempo, dovevo anche laurearmi. Anche se l’ambizione fin da subito è stata quella di creare il più importante, più moderno e più innovativo settore giovanile che ci fosse in Italia. Lo spiegai al Presidente, chiedendo carta bianca, sempre nel rispetto del budget, per poter arruolare i giovani allenatori più talentuosi in circolazione. Così fu, e portò anche dei frutti: nei successivi 3 anni questa squadra ha vinto titoli italiani di categoria e ha dato giocatori alle nazionali giovanili. La nostra era una realtà piccola. In quegli anni sulla scena della pallavolo italiana si stavano affacciando Gardini con il Messaggero, Berlusconi con Mediolanum, Benetton con Sisley, Parma con Santal, Modena con Panini. Insomma, pezzi da Novanta. Chi me lo fa fare?
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