14 I numeri UNO - 2024 Non mi sono mai sentita straniera. Anche se… Sono nata a Lucerna, da una famiglia di emigrati, che siamo soliti definire di prima generazione. I miei genitori sono campani, della provincia di Avellino. Sono una di quelli che in gergo, con un termine espressivo, ma non proprio elegante, vengono chiamati Secondos. Conservo ben impresso nella mente il primo giorno di scuola materna svizzera. Avevo 6 anni e mio padre, che è stato molto presente, mi aveva accompagnato. Ricordo di averlo guardato e di avergli detto: “va bene, questa volta sei venuto anche tu, da domani a scuola ci vengo da sola”. Ripensandoci, potrei dire che è una sorta di sintomo di un tratto del mio carattere che, crescendo, è andato via via consolidandosi e che si manifesta in un forte senso di autonomia. Anche se in realtà, quella di allora era soprattutto la reazione di una bambina che non voleva sentirsi diversa dai suoi coetanei svizzeri. Ripensandoci, credo di non aver mai percepito di essere parte di una comunità ghettizzata. La narrativa, che naturalmente ha dei reali fondamenti, solitamente ci racconta di emigrati italiani che, al di fuori del lavoro, vivevano isolati, chiusi nel loro mondo. Per me non è mi stato così. Sicuramente merito dei miei genitori, di mio padre soprattutto, che ha sempre voluto che noi figli ci sentissimo parte della società locale. Fin da subito, sia lui che mia madre, ci hanno voluto coinvolgere in un processo di integrazione e non di supina assimilazione. In tal senso, è sicuramente non marginale che la mia ‘tata’, la mia Tagesmutter, come viene chiamata qui, fosse svizzera. Era una nostra vicina di casa. Io ha avuto la fortuna di frequentare quella che era famiglia di intellettuali. Uno di loro, che è stato fino a poco tempo fa giornalista della SRF, tra l’altro corrispondente per l’Europa dell’Est, mi ha introdotto alla storia, alla cultura, alla musica. Ricordo che mi sono avvicinata al pianoforte grazie a lui, che mi prendeva sulle ginocchia e suonava Azzurro. Tutto questo mi ha sicuramente aiutato molto, evitando che, in qualche modo, mi sentissi diversa, straniera e ha contribuito a farmi sentire parte della comunità locale. Ciò, assieme al fatto di essere curiosa e aperta verso le altre culture, con una certa predisposizione all’apprendimento delle lingue, a me e a mio fratello, ha reso naturale imparare il tedesco. Con l’italiano parlato in casa – mio padre ci teneva che lo padroneggiassimo correttamente - è stata la lingua con cui ho dialogato fin da subito. Sono cresciuta in una famiglia in cui l’idea del rientro - che come siamo soliti pensare, almeno in origine, era l’obiettivo della prima generazione di emigrati - non è mai stata un‘opzione. Per i miei genitori era sempre Naturalmente integrata
RkJQdWJsaXNoZXIy MjQ1NjI=