106 I numeri UNO - 2024 Per fortuna c’era la musica. Fin da quando avevo 13 anni per me era chiaro che la musica avrebbe avuto un ruolo importante nella mia vita. A 17 anni, con gli Agricantus, il mio gruppo musicale fondato nel 1979, avevo già fatto un sacco di concerti in tutta la Sicilia. Mi ero così reso conto che l’isola offriva molto poco in termini di sbocchi professionali a chi voleva fare il musicista. Le opportunità, per noi che facevamo musica impegnata, erano determinate da affinità ideali. Non c’era Festa dell’Unità, che non ci chiamasse. In quegli anni gli effetti della Guerra fredda erano ancora tangibili. Il Partito Comunista era una forza organizzata, Berlinguer era vivo, noi eravamo giovani con quella carica di idealismo che dovrebbe essere normale a quell’età. Eppure, si percepiva che, con l’arrivo degli anni 80, qualcosa stava cambiando. La musica stava cambiando: quella impegnata delle piazze cedeva il passo alla disco-music. In generale, il riflusso chiedeva strada: nella cultura, nel giornalismo, nella comunicazione, che non poteva ignorare i nuovi modelli che si stavano affermando con l’avvento delle tv commerciali. Noi siamo finiti soffocati dal nostro stesso idealismo, con le nostre istanze che improvvisamente parevano sorpassate e di lì a poco sarebbero crollate. A metà degli anni Ottanta con gli Agricantus abbiamo fatto le prime tournée all’estero. Lì, ho percepito che cultura poteva avere anche un altro significato nella vita delle persone. Forse per questioni di dottrina, di storia, di filosofia, di tradizione, in centro Europa si sentiva che c’era stata o la rivoluzione francese o l’idealismo kantiano che avevano formato le persone in modo diverso e che avevano attribuito alla cultura una posizione, una collocazione, una funzione rilevante nella vita di tutti i giorni. La musica era cultura, non era intrattenimento come ormai era diventata in Italia. Ho capito che fare musica così come lo intendevo io, non avrebbe trovato spazio in Italia. Perché sempre di più la musica doveva essere in qualche modo allineata alle mode, in quanto tali passeggere, del momento o agli interessi di chi ti assoldava. Per noi, come Agricantus intendo, che non facevamo musica d’intrattenimento, si trattava di adeguarci alla logica di Don Camillo vs Peppone o viceversa. In altre parole, se avevi un orientamento politico cattolico, suonavi per il circuito delle Acli o per le feste di quei comuni a prevalenza democristiana, se nutrivi ideali di sinistra allora suonavi per l’Arci o per quei comuni nei quali il PCI era in giunta. Naturalmente, nell’un caso o nell’altro, dovevi adattare il repertorio e il messaggio che trasmettevi a quelle che erano le aspettative di chi ti aveva assoldato. Questa prospettiva non faceva al caso mio. Poi c’era la musica
RkJQdWJsaXNoZXIy MjQ1NjI=