I NUMERI Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia CAMERA DI COMMERC ITALIANA PER LA SVIZ CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909
2 I numeri UNO - 2023 IV edizione, 2023 Editore: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Autore: Giangi Cretti Hanno collaborato: Marco De Stefano, Veronica Saddi Fotografie: gentilmente fornite dai premiati Stampa: finito di stampare in data 28 Febbraio 2024 dalla tipografia Nastro&Nastro S.r.l.
3 I numeri UNO - 2023 INDICE Prefazione di Monica Dell’Anna Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera 5 Prefazione di Gian Lorenzo Cornado Ambasciatore d’Italia in Svizzera 7 Nota del curatore 8
4 I numeri UNO - 2023 Roberto Cirillo Direttore Generale della Posta Svizzera 12 Vincenzo De Bellis Direttore delle quattro piattaforme espositive di Art Basel 48 Barbara Levi Group General Counsel e membro del Group Executive Board del Gruppo Societario UBS Group AG e UBS AG 74 Lucia Mazzolai Primario di medicina vascolare e Direttore del Dipartimento cardio-vascolare 104 Gianandrea Noseda Direttore d’orchestra 128 Pietro Supino Editore e Presidente del Gruppo TX 156 Lorenzo Tomasin Linguista e filologo 190 Giulia Tonelli Prima ballerina 214
5 I numeri UNO - 2023 La Presidente I numeri UNO sono giunti alla quarta edizione. Il premio istituito dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera in collaborazione con l’Ambasciata, si è evoluto ampliando il palcoscenico sul quale si raccontano storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia. Un palcoscenico multimediale che parte da questa pubblicazione, per divenire fisico nell’evento in presenza della premiazione ufficiale e digitale sulla piattaforma del sito Web lanciato da poco: www.inumeriuno.ch. Se il formato in carta stampata rimane un oggetto prezioso e irrinunciabile, l’evento suscita, in un mondo sempre più digitalizzato, un sentimento di profonda umanità e vicinanza attraverso le interviste dal vivo che il curatore di questo volume, Giangi Cretti, conduce con i premiati e grazie alla presenza e la condivisione di tutti i partecipanti. Infine, il sito web, come mezzo di comunicazione divenuto imprescindibile, garantisce riflettori sempre accesi sul palcoscenico dei numeri UNO. Lo stare al passo coi tempi è un imperativo per la Camera di commercio che si trova anch’essa ad affrontare le numerose sfide di un mondo che cambia a velocità impressionante e che richiede forze giovani e innovative. Veniamo ai premiati. Anche quest’anno scopriamo una grande diversità sia che si considerino il settore di attività sia altri parametri come il tipo di emigrazione. Se due delle nostre personalità sono infatti nate in Svizzera o vi sono giunte da bambini, le altre vi si sono trasferite da professionisti affermati, attirate da eccezionali opportunità, a testimonianza della continua evoluzione del carattere dell’emigrazione italiana in Svizzera. Sorprende però anche l’abbondanza di elementi comuni ai premiati: la passione per il proprio mestiere, ad esempio, la concezione di leadership, ancora l’amore per il bel paese e l’ammirazione per la Svizzera ed infine la centralità della famiglia nel divenire chi si è. La passione è fortemente presente in ogni storia. Quella per la musica, ad esempio, risuona in ogni parola del racconto del maestro Gianandrea Noseda. CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZER CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909
6 I numeri UNO - 2023 La concezione della leadership accomuna personalità attive in campi molto diversi. La centralità dell’essere umano, ad esempio, con le sue emozioni, esigenze e fragilità, citata dal CEO Roberto Cirillo, ritorna nelle righe della prima ballerina Giulia Tonelli che affronta il tema della dominanza di alcune figure dirigenziali guidate da narcisismo, anziché da quello che dovrebbe essere il loro compito: “tirar fuori il meglio da ogni individuo”. Centralità che diviene certezza propositiva nella volontà di una giovanissima Lucia Mazzolai, oggi medico primario e direttore di dipartimento, di aderire, semmai si fosse trovata in posizione di potere, ad un modello che veda l’attenzione alla persona con le sue difficoltà come prioritario rispetto a considerazioni di natura puramente economico-utilitaristica. L’amore per l’Italia accomuna ogni numero UNO, pur nella condivisa consapevolezza dei problemi che la caratterizzano. L’esigenza di ridare qualcosa al proprio paese si esplicita in modi diversi, ad esempio come lo “stimolare il più possibile l’ambizione a tornare a essere quelli che possiamo essere” del curatore d’arte e direttore Vincenzo De Bellis. Altrettanto sentita l’ammirazione per la Svizzera, che per tanti è percepita come casa non ultimo per la diffusione dell’italiano, così significativa anche nei cantoni non italofoni e che insieme alle altre tre lingue elvetiche costituisce un fondamento culturale imprescindibile, come espresso dalla autorevole voce del linguista e filologo Lorenzo Tomasin “La Svizzera o è realmente e credibilmente plurilingue, o non è”. La famiglia è, non a caso, visto che parliamo dell’Italia, punto di riferimento fondamentale. La top manager Barbara Levi dice “I miei figli, la mia famiglia, sono la fonte della mia energia” esprimendo grande gratitudine come fanno anche tanti altri premiati. Per l’editore e presidente Pietro Supino la famiglia non riguarda solo o prevalentemente la sfera privata, ma diviene parte indivisibile della propria attività professionale: “Io e la mia famiglia, siamo collegati all’azienda da sempre e per sempre: con il sangue e con il capitale.” Ci si chiederà come mai solo tre degli otto premiati siano donne. In Svizzera meno del 20% degli alti dirigenti d’impresa sono donne, non meglio rappresentate sono nella scienza e in campo accademico a livelli alti. Quindi la parità di genere non è ancora raggiunta? Perché? Le nostre tre premiate hanno ris- poste convincenti: buona lettura. Monica Dell’Anna Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
7 I numeri UNO - 2023 L’Ambasciatore Sono lieto di presenziare, per la prima volta, alla cerimonia di conferimento dei Premi «I Numeri UNO » alle personalità che si sono maggiormente distinte nella loro attività professionale, divenendo protagoniste di storie di successo in Svizzera. Ringrazio la Camera di Commercio Italiana per aver lanciato questa felice iniziativa il cui obiettivo è rendere omaggio ai grandi Italiani e grandi Svizzeri che nel corso della loro carriera hanno dato lustro ai due Paesi. I “Numeri UNO” costituiscono un fulgido esempio per i giovani e rappresentano il ponte ideale tra l’Italia e la Svizzera di cui hanno contribuito a rafforzare i profondi legami. Essi sono, al tempo stesso - e l’Italia gliene è grata - promotori della lingua e della cultura italiana nella Confederazione. E non sono soli in questa azione, perché la Svizzera ha un cuore italiano, ha un cuore italiano a Palazzo federale, nel Canton Ticino, nel Canton Grigioni e negli altri 24 cantoni della Confederazione dove vivono un milione tra Italiani, doppi cittadini, Svizzeri di origine italiana e Svizzeri italofoni. Il 10% della Svizzera vive, pensa, sogna e si esprime infatti in italiano, come ama ricordare il Consigliere federale Cassis, convinto promotore e strenuo difensore dell’italianità in Svizzera come parte integrante dell’identità e della cultura elvetica. Ringrazio quindi gli insigniti per quanto hanno fatto, per come hanno rappresentato il vero spirito dell’italianità, uno spirito di imprenditorialità, di solidarietà, di altruismo, di generosità, di senso del dovere e di apertura verso gli altri. Con i miei più fervidi auguri di ulteriori grandi successi ai Numeri UNO, alla Camera di Commercio Italiana in Svizzera e a tutti voi, amici italiani e svizzeri! Ambasciata d’Italia Berna Gian Lorenzo Cornado Ambasciatore d’Italia in Svizzera
8 I numeri UNO - 2023 Il curatore Siamo alla quarta edizione e, sulla scorta di quelle passate, posso dire di non essere più sorpreso di sorprendermi. Anche questa volta ne esco arricchito. Così non fosse, dovrei ammettere, e non lo faccio, di non aver imparato nulla. Curare questo volume, che raccoglie le sintesi di incontri con i premiati per l’edizione 2023 del premio I numeri UNO, si è confermata un’opportunità, figlia e al contempo madre di un privilegio: quello di poter, rifuggendo dal pettegolezzo, andare oltre la superficiale connotazione, solitamente circoscritta dalla, se non addirittura confinata alla, funzione. Generalmente, personalità, che, a vario titolo e differenti meriti, siamo soliti ritenere pubbliche, sono considerate e definite per quello che fanno, per gli incarichi che ricoprono. Prendersi il tempo, spesso rubato, fra un impegno e l’altro, talvolta fra un decollo e un atterraggio, chiedendo loro di ripercorrere, con, e per, noi, (magari un poco anche per loro) le tappe che le hanno portate a divenire ciò che oggi sono, consente di accendere, per quanto tenue, un bagliore e illuminare, al di là delle funzioni e degli incarichi, le presone. Poterlo fare, con rapide incursioni nelle loro storie individuali - straordinarie certo, ma pur sempre arredamento, per quanto esclusivo, di stanze di vita quotidiana - comporta un duplice pregio: contribuisce a relativizzare (contestualizzare?) e induce in… riflessione. Come molti, ho passivamente subito la seduzione del mantra che, volendo, possiamo diventare tutto ciò che vogliamo. Questi incontri hanno però consolidato la convinzione che ciascuno, fatte salve tutte le eccezioni e le diverse possibilità di scelta, può diventare soprattutto (solamente?) ciò che ha imparato a essere. Fra le tante cose che mi restano appiccicate, e che qui prendo (indebitamente?) a prestito, c’è un’affermazione di uno dei premiati (chi è, lo scoprirete solo leggendo) che nel volume è sintetizzata così: “non siamo, credo, gli eroici e sempre meritevoli artefici del nostro successo (che spesso ci tocca quando non abbiamo fatto nulla per averlo, e invece ci manca quando crederemmo di averne diritto). Ma possiamo essere, forse, gli amici del nostro destino, che sia dai successi, sia
9 I numeri UNO - 2023 dagli insuccessi cercano di trarre buoni motivi per rimettersi in discussione e, se possibile, per migliorarsi, trasformando anche le difficoltà in opportunità”. Al pari di uno dei premiati (presumo convinzione condivisa da molti) convergo (lo si scopre solo vivendo) sull’idea che “spesso le traiettorie e le scelte della nostra vita acquistino un senso a posteriori, per la lettura che di esse diamo dopo averle percorse, cioè per ragioni che si sono determinate nel tempo e che sta a noi rintracciare e ricostruire, se non proprio costruire”. Raccontando, anzi, meglio, ascoltando queste storie, quasi inavvertitamente mi sono reso conto che, suscitando immagini ed emozioni visive specifiche, sono capaci di rappresentare intuizioni e creatività, come mezzi per condividere (confrontare?) un’idea, un pensiero, un messaggio. Sono storie, ciascuna a modo suo, forti, memorabili, sensazionali. Perché sorrette dalla dimensione narrativa nella quale siamo immersi, che filtra le nostre percezioni, stimola i nostri pensieri, evoca le nostre emozioni, eccita i nostri sensi. Ripercorrendole mi sono accorto che sono diventate molto di più di un racconto, perché rispondono ad un bisogno (atavico?) che Lisel Müller ha descritto in una sua poesia intitolata, esplicitamente, Why we tell stories. Estrapolati e in traduzione domestica, alcuni suoi versi ci ricordano che raccontiamo storie - perché ci siamo seduti accanto al fuoco nelle nostre caverne, e, magari, siccome non avevamo granché, ci siamo inventati una favola su una montagna di tesori che si rivela solo a noi, - perché da eterni sconfitti ci siamo inventati enigmi che solo noi possiamo risolvere, mostri che solo noi possiamo sconfiggere, donne che non possono amare nessun altro al di fuori di noi. Le nonne, ci dice sempre Lisel Müller, abili come ragni, tessono storie che vogliono incantare i bambini, mentre i nonni tentano di convincerci che quello che è successo è successo per colpa (merito?) loro. Ci raccontiamo storie perché la storia della nostra vita diventa la nostra vita e ognuno di noi racconta la stessa solita storia in modo diverso e nessuno la racconta due volte nello stesso modo. In fine dei conti, raccontiamo e ascoltiamo storie per dare un senso al nostro mondo e per condividere questa esperienza con gli altri. E anche se ascoltiamo solo distrattamente con un orecchio solo, quando sarà il nostro turno, creeremo anche noi la nostra storia che inizierà con la congiunzione e. E… vissero felici e contenti. Ma questo di solito è il lieto fine. O no? Comunque sia, un bel presupposto per un buon inizio. Perché la storia e le storie continuano. Buona lettura. Giangi Cretti
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I numeri UNO - 2023 11 CAMERA DI COMMERC ITALIANA PER LA SVIZ CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 I NUMERI Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia 2023
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13 I numeri UNO - 2023 Nato a Zurigo, il 12.09.1971 da Vittorio Cirillo (1934-2011) e Carolina Fasolino (1940), è cresciuto a Novazzano, in Ticino (dal Novembre 1971 al Settembre 1990). A 400m dal confine con l’Italia. Ha frequentato le scuole elementari a Novazzano (1977-1982), le scuole medie a Chiasso (1982-1986), e il Liceo scientifico a Mendrisio (1986-1990). Il 1990 è l’anno della Scuola Reclute nelle Truppe Sanitarie e di Salvataggio. Nello stesso anno, intraprende lo studio in Ingegneria Meccanica presso il Politenico Federale di Zurigo (ETHZ), dove si laurea come Ingegnere Meccanico nel 1995. Dal 1995 al 1998 è ricercatore presso l’Istituto di Ingegneria dei Sistemi e del Controllo (IMRT) del Politenico di Zurigo (ETHZ). Nel 1997 è Visiting Researcher alla Brigham Young University di Provo, Utah, USA. Dal 1999 al 2007 lavora per McKinsey & Company, in qualità di Associato prima e Partner Associato poi, presso gli uffici di Zurigo e Amsterdam, Melbourne, Mosca, Shanghai, Istanbul. Dal 2007 al 2014, nel Gruppo Sodexo (basato a Parigi), è Senior Vice President, membro della Direzione Generale del Gruppo, prima come Direttore della Strategia, poi come CEO Sodexo Francia e COO del Gruppo. Dal 2014 al 2018, nel Gruppo Optegra Eye Health Care (basato a Londra) è Group CEO di un gruppo di ospedali specialistici e cliniche oftalmologiche in UK, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Cina. Dal 2018 a oggi è Membro del Consiglio d’Amministrazione di Croda International Plc., società quotata alla Borsa di Londra (FTSE100). Dal 2019 ad oggi, è Direttore Generale di Poste Svizzere (Konzernleiter Die Schweizerische Post AG). Sposato dal 2012 con Fabiana Boi, con cui condivide la passione per i viaggi e per la Sardegna. Ha potuto visitare 61 paesi in tutti e sette i continenti, incluso l’Antartico. Roberto Cirillo Direttore Generale della Posta Svizzera I NUMERI 2023
14 I numeri UNO - 2023 Far nascere le idee N asco a Zurigo, ma sono cresciuto a Novazzano, nel canton Ticino. I miei genitori sono originari della Campania: mio padre di un piccolo paese alle falde del Vesuvio, che si chiama Boscotrecase, mia madre di Pompei. Mio padre, come d’altronde buona parte dei suoi conterranei, di famiglia povera. Tanto per rendere l’idea, era solito raccontare quest’aneddoto: a casa sua le scarpe a disposizione dei figli erano un paio in meno rispetto al loro numero. Di conseguenza, l’ultimo che si svegliava la mattina per l’intera giornata era senza scarpe. Mia madre, come i suoi fratelli, aveva potuto studiare e, quando ha conosciuto mio padre, durante una vacanza in Svizzera dov’era venuta a trovare dei parenti, faceva la maestra in Basilicata, a Muro Lucano. Mio padre è emigrato nel 1961. Come destinazione scelse la Svizzera, probabilmente perché era molto legato a sua madre e anche perché, Con mamma, papà e cugine (1972)
15 I numeri UNO - 2023 con i soldi che aveva messo da parte, riusciva a pagarsi un biglietto di andata e ritorno per Zurigo, scartando così l’opzione di comprarsi un biglietto di sola andata per l’Australia. Sono fatti e situazioni che mi restano impressi nella memoria e che mi ricordano da dove vengo, la strada che ho fatto, sempre consapevole che tutti noi siamo il risultato di chi ci ha preceduto e delle opportunità che ci sono state offerte - e che abbiamo saputo cogliere - dalla società di cui siamo parte.
16 I numeri UNO - 2023 Sono nato nel settembre del 71, ma già due mesi dopo i miei genitori si trasferiscono in Ticino. Conseguenza della volontà di mia madre, maestra elementare che non voleva abbandonare la sua professione e che voleva che io crescessi in un ambiente italofono. Visto che mio padre non aveva alcuna intenzione di lasciare la Svizzera, il Ticino sembrava essere l’unica alternativa. Non è che le cose siano andate proprio secondo un programma ponderato. Sono state l’esito di una decisione istantanea e, con il senno di oggi, direi anche avventurosa. Infatti, i miei genitori presero le loro cose le misero in macchina e con me partirono alla volta del Ticino. Superato il Gottardo, all’epoca non c’era ancora l’autostrada, fecero tappa in tutti i paesi che attraversavano, chiedendo se ci fosse un lavoro per mio padre e un’opportunità per mia madre di continuare ad insegnare. Percorsero così tutto il cantone, da Nord a Sud, fino ad arrivare a ridosso del confine. È infatti a Novazzano, comune che conta più di un valico doganale con l’Italia, che, grazie anche all’intercessione del parroco, trovarono un appartamento in una palazzina che ancora non era terminata, e, mio padre, un lavoro come idraulico. Lo stesso che faceva a Zurigo. Mia madre, che era maestra di ruolo, fece richiesta di trasferimento del proprio incarico e riprese ad insegnare nel comune italiano al di là del confine, percorrendo, in senso contrario, quella strada che ancor oggi percorrono migliaia di lavoratori frontalieri. Così ci siamo stabiliti a Novazzano. Lì sono nati mio fratello e mia sorella e lì ho frequentato le scuole elementari, di cui conservo ottimi ricordi, soprattutto legati agli insegnati che ho avuto. Dal Gottardo al confine
17 I numeri UNO - 2023 Discorso del primo agosto a Novazzano con il mio vecchio maestro di scuola elementare Soldini di cui conservo ancora oggi un ottimo ricordo (2019)
18 I numeri UNO - 2023 La terra delle opportunità Mai, neppure per un momento, mi sono sentito escluso dalla comunità locale. La nostra era una famiglia di immigrati e probabilmente non disponeva delle stesse risorse economiche di quelle locali. Ma è una percezione che io non ho mai avuto. Solo molti anni dopo - finito il Politecnico a Zurigo, al mio primo incarico come ricercatore, vedendo che il mio primo salario era il doppio di quello di mio padre - mi sono reso conto di quanto dovesse essere stato difficile per i miei genitori portare avanti una famiglia, senza che mai avessi l’impressione che mi mancasse qualcosa, ma, al contrario, che godessi, più o meno, dello stesso tenore di vita di quasi tutti i miei coetanei. Credo che sia indubbiamente merito della condotta dei miei genitori, ma anche dell’ambiente sociale in cui, nei fatti, eravamo bene inseriti e nel quale avevamo stabilito ottimi rapporti, che sono rimasti tali nel tempo. Il padre del mio miglior amico di scuola, Marco, un imprenditore del Grigioni Italiano, divenne, forse grazie alla sua affinità all’Italia o all’amicizia con mio papà, il mio padrino di cresima. Lui aveva studiato all’università, era un ex-giornalista, aveva viaggiato per tutto il mondo, e, man mano che crescevo, mi ha accompagnato in tante decisioni. Mia madre, qualche volta, - visto che vivevamo in cinque in un appartamento con sala, cucina e due camere da letto, e per alcuni anni abbiamo ospitato anche i miei nonni – accennava al fatto che, se solo avessimo attraversato la frontiera, avremmo potuto avere una casa tutta nostra. Ma mio padre era irremovibile: si resta in Svizzera perché questa è la terra delle opportunità. Personalmente, non posso che dargli ragione. In Svizzera, io e i miei fratelli, pur essendo di famiglia di umili condizioni, abbiamo avuto la possibilità di studiare e di frequentare l’Università o il Politecnico, grazie alle borse di studio del Cantone. Ricordo benissimo: 9’500 franchi il primo anno, 10.000 il secondo, 10.500 il terzo e 11.000 il quarto.
19 I numeri UNO - 2023 Taormina con mia cugina Licia (1983)
20 I numeri UNO - 2023 Ovviamente, noi ci abbiamo messo del nostro: la disciplina e l’impegno, assieme al fatto che, per tutta la durata degli studi, non ci siamo mai permessi di andare in una pizzeria o di fare qualsiasi spesa che non fosse strettamente necessaria al puro sostentamento. Inoltre, ogni qualvolta dovevo fare praticantato, m’industriavo per trovare qualche lavoro temporaneo che mi consentisse di guadagnare qualche soldo. Sacrifici? Forse, ma ci hanno permesso di costruire il nostro futuro professionale. Un’opportunità che non avremmo avuto se ci fossimo trasferiti, come sognava mia mamma, solamente un paio di chilometri al di là del confine. È anche questo uno dei motivi per il quale apprezzo la Svizzera: è un Paese che offre la possibilità a tutti o quasi di prendere quell’ascensore sociale di cui oggi si sente spesso parlare; un Paese che offre servizi e infrastrutture di cui tutti possono godere. Per me, questo significa ridistribuzione: nel senso che lo Stato ridà ai cittadini quei beni e quei servizi che ne definiscono la qualità della vita. Ed è anche per queste ragioni che, cinque anni fa, dopo aver passato la gran parte della mia vita professionale all’estero, ho accettato di tornare in Svizzera, assumendo l’incarico che ricopro oggi.
21 I numeri UNO - 2023 Servizio militare nelle Alpi (1991)
22 I numeri UNO - 2023 Il cielo sopra Berlino Dopo le elementari a Novazzano e le medie a Chiasso, il liceo l’ho fatto a Mendrisio. Lì ho vissuto una delle esperienze che probabilmente hanno lasciato un’impronta sul mio modo di essere e di pensare. All’inizio del 1988, con i professori di storia e di tedesco, avevamo deciso che la passeggiata scolastica l’avremmo fatta a Berlino. Due anni di preparazione per poter organizzare questo viaggio e, una volta partiti, ci siamo ritrovati su uno degli ultimissimi treni che attraversavano la Germania dell’Est, e, fisicamente, a essere fra gli ultimi che sono transitati dal Check point Charlie, il giorno prima che venisse smantellato e che il primo pezzo del muro fosse abbattuto. Essere lì in quei giorni e vivere in prima persona - da cittadino svizzero, che nella sua vita non ha mai subito limitazioni sociali - quel momento in cui migliaia di persone, un intero popolo in realtà, dopo decenni, esce da uno stato di segregazione e riacquista la propria libertà di movimento e di pensiero, è un’esperienza che ha consolidato in me la consapevolezza di quanto sia importante agire, affinché si possa affermare un sistema sociale in cui tutti possano svilupparsi, e di come la democrazia e la libertà non siano un dono garantito a vita, ma vadano difese e tutelate. Berlino Est con la classe del liceo (1990)
23 I numeri UNO - 2023 Berlino con la classe del liceo (1990)
24 I numeri UNO - 2023 Vai dove ti porta… la corrente Nel corso degli anni, in modo particolare appena finiti gli studi, ho iniziato ad acquisire una maggior consapevolezza di quello che valevo. Potremmo dire che ho sviluppato una certa autostima. Fino ad allora, ho sempre avuto l’impressione di seguire la corrente, di fare quello che ci si aspettava che io facessi. Quando ho iniziato a fare ricerca all’istituto di ingegneria dei sistemi e del controllo di Zurigo mi sono reso conto che, malgrado io adorassi quello che facevo, andava tutto troppo lentamente. È stato in quel frangente che, per la prima volta, ho preso la decisione di non fare quello che tutti quanti si aspettavano. Il mio professore si aspettava che io finissi il dottorato e diventassi professore aggiunto. Le persone attorno a me mi consideravano come lo scienziato che avrebbe passato tutta la vita a fare ricerca e studiare. Io stesso, in qualche maniera, mi vedevo così. Seguire la corrente era sicuramente comodo. Decisi allora che dovevo mettermi in una situazione scomoda, dove valesse quello che io davvero volevo e fosse quello a definire in che direzione andare. In questo senso, mi è stato di aiuto confrontarmi con un mio amico, Carlos si chiama, che faceva ricerca con me al Politecnico e che, immigrato dal Salvador, si era pagato gli studi asfaltando le strade in Germania. Lui, tutto quello che aveva fatto nella sua vita, se l’era dovuto guadagnare, prendendo decisioni difficili e magari dolorose. Sicuramente, combattendo anche contro un destino non sempre amico. Io, invece, in fin dei conti, ero andato dove mi aveva portato la corrente, decidendo per me. A quel punto, ed ero ormai al quarto anno di ricerca, ho detto no: adesso non continuo semplicemente a fare il dottorato qui, solo perché è quello che tutti si aspettano. Ho cambiato strada e sono cambiato anch’io.
25 I numeri UNO - 2023 Con Carlos a Zurigo (2006)
26 I numeri UNO - 2023 Imparare a presentarmi Erano gli anni in cui un ingegnere meccanico uscito dal Politecnico, ci metteva due giorni a trovare un’occupazione. L’offerta di lavoro era infinita. Ma non ho ceduto, anche se non avevo per nulla in chiaro cosa avrei potuto fare. Un amico, molto francamente, mi dice che, “un pantofolaio da ricerca” come me, un’occupazione al di fuori del settore ingegneristico non l’avrebbe trovata. Alla mia domanda su cosa, secondo lui, avrei dovuto fare, mi risponde: “innanzitutto, impara a presentarti, perché una cosa che non hai mai fatto è un colloquio di lavoro”. Grazie, ma come faccio? Seguendo il suo consiglio, mi rivolgo a quelle aziende che fanno consulenza per altre aziende, che sono fra le più grandi e meglio strutturate al mondo. L’obiettivo, secondo quel mio amico, non era farmi assumere, perché, a suo avviso, non sarebbe mai successo, ma di esercitarmi a fare colloqui di lavoro molto complessi, cosicché, quando poi avessi capito cosa avrei voluto fare, sarei stato pronto a presentarmi nel migliore dei modi. Invio un po’ di curricula e, dopo aver fatto alcuni colloqui di lavoro non solo in Svizzera, con mia grandissima sorpresa, nel giro di qualche mese, ricevo offerte di lavoro da McKinsey&Co. Io non sapevo neanche chi fossero e neppure alla fine della prima giornata di colloqui ero riuscito a capire cosa esattamente facessero. Sta di fatto che, quando il partner di McKinsey&Co mi chiama per una proposta di lavoro, io risposi che non sapevo se l’avrei potuta accettare, perché onestamente non sapevo di cosa si occupassero. Anche in questo caso, con mia grande sorpresa, per ragioni che ancora oggi non mi spiego, questo partner, anziché mandarmi al diavolo, mi organizza una giornata nella quale seguire dei consulenti nella loro quotidianità. Finita la giornata, non è che io avessi compreso appieno in che cosa consistesse il lavoro, tuttavia avevo
27 I numeri UNO - 2023 incontrato talmente tante persone, estremamente diverse tra di loro per background, ma tutte estremamente interessanti, da indurmi a pensare che in quell’ambiente avrei trovato quello che cercavo: nuotare finalmente controcorrente. Tanto per fare esperienza. Infatti, pensavo: “fra sei mesi mi sbatteranno fuori”. in Australia (2007)
28 I numeri UNO - 2023 Evitare l’ovvio Le cose non sono andate così. Ci sono rimasto 8 anni. Ho cominciato a sperimentare come funzionava il mondo fuori dalla mia piccola Svizzera. Ho imparato a vivere fuori dalla mia zona di comfort. Ho lavorato e temporaneamente vissuto dapprima ad Amsterdam, poi, sempre in Europa, in Germania e Spagna; in seguito, in Australia, Russia e Cina per poi terminare in Turchia. Sono stati anni in cui sono accaduti fatti che hanno ridisegnato la geopolitica mondiale. Anni in cui si iniziava a percepire quel senso di instabilità incredibile. L’attacco alle Torri Gemelle, gli attentati come quello della metropolitana a Mosca, o la presa di ostaggi nel teatro Dubrovska da parte di militanti ceceni, quando io vivevo in quella città. Ma sono stati anche anni, durante i quali, in Cina, ho potuto osservare in prima persona uno sviluppo economico e sociale estremamente rapido, mentre in Turchia, si percepiva un fermento e una voglia di svilupparsi della società, che doveva essere simile a quella degli anni ‘50 e ‘60 in Italia. Tante dinamiche di quegli anni sono nel frattempo cambiate, ma hanno contribuito a creare il mondo in cui ogni giorno devo prendere le decisioni. Sia durante gli anni trascorsi in McKinsey&Co, sia in seguito, nelle mie scelte professionali ho puntualmente evitato la continuità e l’ovvio. Dopo aver passato tantissimi anni in giro per il mondo per McKinsey&Co, e soprattutto smentendo una delle mie convinzioni, che credevo granitiche, secondo cui, mai e poi mai avrei lavorato in Francia o in Germania, quando ho incontrato Michel Landel, il CEO del gruppo Sodexo, un’azienda globale attiva in 80 Paesi, mi sono bastati pochissimi minuti per accettare di lavorare con lui in Francia. Merito della sua estrema umanità. Del fatto che in quell’azienda, attiva nel settore della ristorazione aziendale, la sostanza era garantita dal la-
29 I numeri UNO - 2023 in CHINA - XIAN (2006)
30 I numeri UNO - 2023 voro fornito ogni giorno dalle persone, per le quali Landel nutriva un naturale rispetto e alle quali voleva offrire la possibilità di crescere, di creare una famiglia. Decisione che si rivelerà fra le migliori che io abbia mai preso. Mi son trovato da svizzero, a 35 anni, Capo della Strategia e Chief Opereting Officer nella direzione generale e poi CEO di un Paese del Gruppo, la Francia, che aveva una cifra d’affari di oltre tre miliardi e mezzo di euro e impiegava 46.000 persone a tempo pieno e 100.000 a tempo parziale. Il terzo o quarto più grosso datore di lavoro del Paese. Lasciata dopo 8 anni Sodexo, contrariamente a quanto tutti si aspettavano, sono a andato a lavorare per una piccola azienda. Un gruppo ospedaliero basato a Londra, che gestiva una ventina di ospedali sparpagliati fra Inghilterra, Germania, Polonia, Repubblica Ceca e Cina. In termini di business, una frazione minuscola di quello che gestivo prima, in un ruolo che però rispondeva alla mia esigenza di dimostrare, soprattutto a me stesso, che, dopo anni in cui ero io che prendevo le decisioni, che dicevo agli altri di eseguire, ero in grado anche di realizzare le mie idee strategiche. Anche questa si è rivelata un’esperienza interessantissima, che mi ha visto operare in 5 paesi talmente distanti e differenti tra di loro, con sistemi sanitari così diversi. Per giunta, io che non venivo dal mondo della sanità, sono entrato in maniera perpendicolare in una realtà, dove la maggior parte delle persone occupate ci nasce, ci cresce e ci muore. Professionalmente parlando, s’intende.
31 I numeri UNO - 2023 West Papua Offshore Oil Rig per Sodexo(2008)
32 I numeri UNO - 2023 Ritrovarsi nel sogno di quel bambino Trascorsi quasi 5 anni, sorprendendo questa volta anche me, dopo più o meno vent’anni passati all’estero in aziende del sistema privato, è giunta la proposta di rientrare in Svizzera ad occuparmi di una società del servizio pubblico. In qualche modo, anche questa è una scelta che risponde alla mia ambizione di progredire, di imparare sempre qualcosa di nuovo; ogni volta, ricominciando da zero e provando a me stesso che ero in grado di farlo. Se penso che da piccolo ero convinto che da grande avrei fatto l’astronauta, tutto sommato mi ci ritrovo. Certo, quello era il sogno di un bambino, per giunta ispirato da più fattori: - avere un amico che era bravissimo nel disegnare tutti quei robot che erano protagonisti dei cartoni animati che vedevamo in tivù; - -aver scoperto nel cassetto di un mobile di casa alcune copie della rivista Epoca del 1969, anno in cui miei genitori si erano sposati, che raccontavano dell’atterraggio sulla luna e che io avrò sfogliato un milione di volte; - avere un padre, appassionato di documentari e di tecnologia, che mi affascinava ogni qualvolta, da idraulico qual era, trasformava un disegno tecnico, complesso ai miei occhi, in un impianto sanitario per un ospedale. Un sogno e fattori, che non sono estranei al fatto che - finito il liceo scientifico, apprestandomi a compilare la scheda d’iscrizione al Politecnico di Zurigo, dove ero convinto avrei studiato fisica, sbirciando la scheda di un mio compagno di scuola che aveva indicato il Dipartimento IIIA, corrispondente ad ingegneria meccanica, una materia che manco sapevo che esistesse - di punto in bianco cancellai, sfregandola con il dito, la crocetta che avevo fatto nella casella del Dipartimento IX (Matematica e Fisica) e la feci su quella del Dipartimento IIIA (Ingegneria Meccanica).
33 I numeri UNO - 2023 Tutto il mio percorso professionale è servito a consolidare quello che è diventato il mio centro d’interesse: non tanto il business, che pure non sottovaluto, ma le persone. Da quando strappai il mio bigliettino da visita di McKinsey&Co davanti ad un dirigente, per fargli capire che aveva a che fare con me e non con un consulente, dalle dozzine di incontri annuali con i collaboratori in ognuna delle aziende che ho diretto, una cosa ho imparato: Business is people. Se mi guardo indietro, credo che l’esperienza che mi è rimasta più impressa, la più bella professionalmente, sia stata quella che, da CEO del Gruppo Sodexo per la Francia, mi ha visto per sei anni partecipare alle serate per i collaboratori. In quelle occasioni, facevamo due cose: consegnavamo il diploma, a coloro che avevano seguito un corso per avanzare di grado, e un attestato ai collaboratori più longevi, che erano in azienda da 25, 30, 35 e 40 anni. La consegna era effettuata personalmente dal CEO del Paese, quindi da me. Era difficile nascondere l’emozione nel vedere questi collaboratori, la maggior parte dei quali non aveva mai studiato, mostrare, con un misto di incredulità e di orgoglio, il diploma ricevuto ai propri famigliari. Non importa quanto grande fosse il passo in avanti che professionalmente avevano fatto - se, da inservienti addetti alla pulizia dei tavoli, erano diventati chef de sale o, da lavapiatti, erano diventati aiuto cuochi - toccante era sentire e vedere come, per ciascuno di loro, quel gesto, quel ‘pezzo di carta’ rappresentasse un attestato della loro volontà di progredire e una forma di accettazione della loro persona nella società. In quei frangenti, io rivedevo la storia di mio padre, che era venuto in Svizzera e qui aveva trovato un lavoro. In un contesto sociale che aveva L’impatto sociale del lavoro
34 I numeri UNO - 2023 permesso che qualcuno glielo offrisse quel lavoro. Per me consegnare i diplomi a quei collaboratori era un po’ come rivivere il gesto di quel qualcuno che aveva offerto a mio padre il suo primo contratto di lavoro. In quelle esperienze c’è l’essenza di quello che io penso sia il lavoro. Poi, ovvio, c’è il business, c’è la complessità, c’è la diversità. Io come CEO mi sono occupato naturalmente anche d’altro. Da strategie di crescita, acquisizioni e ristrutturazioni, al finanziamento di un consorzio per la costruzione del Ministero della Difesa francese. Se negli anni in McKinsey&Co ho imparato a lavorare con i fatti e a riconoscere, facendone tesoro, le diversità e la varietà delle esperienze possibili, in Sodexo ho misurato l’impatto di un’azienda nella società.
35 I numeri UNO - 2023 India con MIchel Landel e Direzione Generale Sodexo (2010)
36 I numeri UNO - 2023 Venuto meno ad una promessa Tornare in Svizzera, dopo il periodo londinese, è stato qualcosa che è capitato e per nulla cercato. Si potrebbe leggere anche questa come la conferma della mia volontà di andare controcorrente. Con mia moglie, che è sarda e ho conosciuto però a Parigi, dov’era stata trasferita per la banca per la quale lavorava, ci eravamo promessi che non saremmo mai rientrati nei nostri rispettivi Paesi d’origine almeno fino al pensionamento. Pertanto, né in Svizzera, né in Italia. Devo ammettere che, quando nell’estate 2018 mi hanno contattato dalla Posta, sono rimasto stupito. La Posta stava attraversando una fase difficile, in seguito alla vicenda dei sussidi che vedeva coinvolta la divisione AutoPostale, che aveva portato alle dimissioni della Direttrice generale. Stupore che si aggiunse a stupore, ogni qualvolta nelle riunioni che seguirono il primo contatto, mentre gli altri componenti della Commissione di selezione del nuovo Direttore generale mi interrogavano sulla mia esperienza, il Presidente del Consiglio di Amministrazione della Posta, Urs Schwaller mi poneva sempre la stessa domanda: “Capisci in che cosa ti stai mettendo? Ti senti davvero pronto?” Mi disorientava, non capivo il senso di quella reiterata domanda. Eppure, ci doveva essere un motivo se qualcuno era venuto a cercarmi, dopo che da 18 anni ero attivo fuori dalla Svizzera. Sono serviti un po’ di tempo e parecchi colloqui, ma poi ho capito cosa stesse succedendo, cosa rappresentasse un’azienda come la Posta e, soprattutto, quale contributo io potessi dare. Inizialmente, la motivazione principale che mi ha spinto ad accettare è stato pensare che, in qualche modo, avrei potuto restituire alla società svizzera quello che lei ci aveva dato. Che aveva dato soprattutto a mio padre. Poi, certo, anche il fatto di avere un vero business da gestire, di con-
37 I numeri UNO - 2023 frontarmi con una concreta sfida imprenditoriale, di avere la possibilità di sviluppare qualcosa di nuovo per il Paese, ha avuto il suo peso nella mia decisione. Anche in questo caso, come ai tempi di Landel e di Sodexo, c’è stato qualcuno che ha visto in me la persona che poteva dare un contributo. Questo qualcuno è stato Urs Schwaller. In Washington DC con Fabiana (2013)
38 I numeri UNO - 2023 Uno strumento per esporre l’anima Per le mie esperienze professionali, fondamentale si è rivelata la conoscenza delle lingue. Se ne avessi la capacità ne parlerei almeno 10. Mi limito a praticarne regolarmente cinque. Non tanto, o meglio, non solo, per poter comunicare. Che è comunque fondamentale, visto che per lavoro ho frequentato persone di tutto il mondo. Ma anche, e forse soprattutto, perché la conoscenza della lingua consente di stabilire relazioni sul piano umano. Conoscere le lingue, non è un processo fine a sé stesso. È un modo per assorbire le dimensioni culturali, per cogliere le differenze tra le varie sensibilità, per stabilire rapporti di lavoro in cui quello che prevale è l’elemento umano. In fin dei conti, le lingue sono uno strumento per esporre l’anima. Ma prima ancora che parlare, importante è ascoltare. Questa è stata una delle lezioni che ho appreso da mio papà. Lui parlava con tutti, in qualsiasi situazione, riuscendo ad instaurare un dialogo, che non era di semplice cortesia, con la vecchietta e con il parroco del paese, con il vescovo, che aveva avuto modo di incontrare, e con il dirigente d’azienda. Io non capivo e quasi ne ero imbarazzato. Non capivo soprattutto come mai, con tutte queste persone, lui riuscisse ad instaurare relazioni che duravano nel tempo. Finché ho capito: mio padre quelle persone le ascoltava, nei loro confronti mostrava vero interesse. Se sai ascoltare, se ti interessi veramente alla persona, a chi è veramente, a cosa fa, come vive e non a quanto possiede, superi qualsiasi differenza o diffidenza. A quel punto, lo scambio umano prescinde dalla posizione sociale, dalle capacità finanziarie, dal titolo di studio.
39 I numeri UNO - 2023 Con mio padre in India (2010) Imparare ad ascoltare è stata una delle lezioni che ho appreso da lui
40 I numeri UNO - 2023 Azienda pubblica e logiche di mercato Oggi mi trovo confrontato con una realtà che ha delle peculiarità che non hanno le aziende che agiscono esclusivamente nel settore privato. La Posta Svizzera SA è una società anonima di diritto speciale. È strutturata giuridicamente come una normale società di diritto privato. Essendo però al 100% di proprietà dello Stato, sottostà a delle leggi speciali a lei dedicate, che definiscono il quadro dei servizi pubblici da fornire a popolazione e aziende del Paese. Essa non è finanziata da soldi pubblici, pertanto, deve produrre risorse sul mercato libero per continuare a svolgere il suo mandato. La Posta non ha come obiettivo quello di generare guadagno fine a sé stesso (anche se la Confederazione come azionista unico richiede ogni anno il pagamento di importanti dividendi), ma quello di offrire servizi infrastrutturali di comunicazione, logistica, trasporto e finanziari con un livello qualitativo alto, a prezzi simili e accessibili in ogni parte del paese. E lo deve fare sapendo che comunque deve produrre risorse, per continuare a finanziarli anche in futuro questi servizi e gli investimenti che saranno necessari per restare al passo con le attese dei clienti e i cambiamenti tecnologici. Questo lo deve fare, non privilegiando unicamente la dimensione economica, perché questo impone la legge del mercato, ma trovando un equilibrio con la dimensione sociale e politica e con la sostenibilità ambientale. Un’operazione tutt’altro che facile, tenuto conto che in ogni caso ci si deve confrontare con decisioni che devono essere prese, soppesando molti fattori. Ad esempio, da una parte, il peso economico di rendere il servizio neutrale dal punto di vista dell’impatto ambientale, dall’altra, il peso finanziario della massa salariale, che determina il potere d’acquisto dei collaboratori, oppure l’evoluzione del prezzo dei servizi che intacca il potere d’acquisto dei consumatori, rispetto alla capacità di finanziare investimenti futuri. Tutto questo, in un’azienda privata viene principalmente defini-
41 I numeri UNO - 2023 to dalle esigenze del mercato, mentre all’interno dell’amministrazione pubblica è regolamentato da direttive previste da una legge. Per la Posta, che è un’azienda e un’istituzione allo stesso tempo, così non è. Per questa ragione, io mi trovo confrontato con un’esperienza eccezionale, che mi permette di sviluppare una visione e di creare i presupposti per metterla in pratica. Qualche tempo fa, in un’intervista, a margine di una polemica sorta attorno all’eventualità di dilazionare i tempi di consegna dei quotidiani, qualcuno mi ha chiesto “ma lei non si preoccupa di passare alla storia come quello che ha ucciso i giornali?”. La mia risposta è stata, sì, anche se a me non dispiacerebbe passare alla storia per quello che ha introdotto l’e-voting, per favorire la partecipazione alla vita democratica in Svizzera. Oppure l’e-health, per migliorare la sanità, sviluppando, al contempo, la posta elettronica, per permettere che la Posta abbia un senso anche nel 2040 e nel 2050. Con un team delle Poste Svizzere in Ticino (2019)
42 I numeri UNO - 2023 Tour-de-Poste Cadenazzo (2023)
43 I numeri UNO - 2023
44 I numeri UNO - 2023 Il senso della parola onestà Mio zio Mario, che è stato anche mio padrino di battesimo, a Roma - dove io ho passato molte estati della mia infanzia, tanto che, anche se i miei genitori sono napoletani, considero Roma la mia città d’origine – era un ispettore generale delle Poste italiane. Da bambino non capivo cosa facesse esattamente, intuivo, però, che il suo fosse un incarico di potere, visto che andava al lavoro con l’autista. Fra i suoi compiti c’era quello di esaminatore di coloro che si candidavano per un lavoro alle Poste. Ricordo che in quelle occasioni, rientrando la sera, raccontava con grande indignazione dei tentativi di molti conoscenti e addirittura amici, che cercavano di influenzare le sue valutazioni. Ho ancora viva l’immagine di lui che sbottava: “ma questi credono che la mia dignità sia in vendita?”. È allora che, anche se avevo 12 o 13 anni, sono riuscito a dare un senso alla parola onestà. Non so in che misura anche questo fatto abbia influenzato le mie scelte. Sono però sicuro che un dirigente non è tale perché ha ricevuto qualche favore o perché ha le conoscenze ‘giuste’. Un dirigente, ai miei occhi, è prima di tutto una persona integerrima. A volte, mi chiedono quale sia la mia filosofia manageriale. Rispondo che applico la maieutica. Il mio lavoro consiste nel far nascere le idee negli altri e dagli altri. Come detto, ho fatto il liceo scientifico, ma la mitologia classica mi ha sempre affascinato. Lo debbo a mia cugina Licia, che ha qualche anno più di me. Lei ha fatto il liceo classico e, quando stavo da loro a Roma, la sera, per farmi addormentare, mi leggeva i testi della mitologia greca e latina e dei filosofi. Testi che lei doveva studiare per la scuola e che per me sono state le favole della buona notte.
45 I numeri UNO - 2023 Giardini Naxos con papa, mamma, zio Mario, zia Maria, fratello e cugine (1983)
46 I numeri UNO - 2023 Riscoprire l’italiano e l’Italia Io ho riscoperto l’italiano, che ovviamente è stata la mia prima lingua, grazie a mia moglie. Negli anni di studio e poi di lavoro, l’unico vero contatto con l’italiano erano le telefonate con mia mamma. Per oltre un decennio ho parlato solo inglese, tedesco, spagnolo. E poi, come detto, a Parigi ho incontrato Fabiana, che è diventata mia moglie, e grazie a lei ho ricominciato nel privato a parlare italiano. Ma non solo, con Fabiana condividiamo gli stessi valori umani e professionali. Anche lei, come Carlos, si è veramente fatta da sola, cominciando allo sportello di una banca in una piccola agenzia di Cagliari, per arrivare a gestire per il CEO una fusione internazionale della stessa banca. Operazione che è stata all’origine del suo trasferimento a Parigi, senza la quale non ci saremmo mai incontrati. È successo in una fase particolare della mia carriera, nel quale per me - arrivato a 35 anni già ad essere membro della direzione generale di un gruppo mondiale, tenuto conto del grande rapporto che avevo con il CEO del Gruppo - il rischio era che mi adagiassi e accettassi professionalmente di lasciarmi trascinare dalla corrente. Fabiana è stata da subito un pungolo a migliorarmi e progredire, continuando a cercare sfide e stimoli nuovi. Condividiamo anche la comune passione per la scoperta ed i viaggi. Devo a Fabiana anche il fatto di aver scoperto l’Italia. Fino ad allora era il Paese delle mie vacanze romane o delle visite ai parenti dei miei genitori. Una conoscenza dell’Italia attuale, della sua dimensione politica e sociale, dei rapporti con la Svizzera, non l’avevo. Il mondo, quello che giravo per lavoro, mi sembrava troppo grande per trovare il tempo di pensare all’Italia. Grazie a mia moglie, da adulto, ho cominciato a frequentare l’Italia - soprattutto Cagliari e la Sardegna, in quanto lei è sarda - in
47 I numeri UNO - 2023 modo consapevole, a viverla, per quanto possibile, nel quotidiano. Ad incontrare le persone nel loro contesto sociale ed economico. Oggi, posso dire che l’Italia, oltre all’amore di mia moglie, rappresenta anche un modo per ricongiungermi con quella parte di me che per parecchi anni avevo accantonato. E poi ho scoperto che, mentre in Svizzera, volente o nolente, sono un personaggio pubblico, con tutto quello che ciò comporta, in Italia io posso essere Roberto. Ed è una bella sensazione, quella di poter discutere tranquillamente, di dire quello che penso, senza dovermi preoccupare di chi siano i vicini di tavolo al bar o al ristorante, e non temere di trovare qualche mia affermazione fuori contesto riportata su questo o quel quotidiano. Potrei dire che l’Italia rappresenta anche un senso di libertà e di leggerezza. Forse è anche per questo che, piano piano, si fa strada l’idea di individuare un modo per dare il mio contributo anche all’Italia. Razionalmente, mi sembra impossibile. Poi però ammetto con me stesso che la stessa cosa la pensavo a proposito della Svizzera. Eppure, eccomi qua. E allora? Chissà: mai dire mai. Con mia moglie Fabiana (2017)
48 I numeri UNO - 2023
49 I numeri UNO - 2023 Vincenzo de Bellis è Direttore delle Fiere e delle Piattaforme espositive di Art Basel. Supervisiona a livello globale i team delle quattro mostre di Art Basel a Basilea, Parigi, Hong Kong e Miami Beach, e coordina nuovi progetti e iniziative curatoriali. Dal 2016 al 2022 ha ricoperto il ruolo di curatore e direttore associato dei programmi di arti visive presso il Walker Art Center di Minneapolis. Durante il suo incarico ha organizzato diverse mostre come la grande retrospettiva di Jannis Kounellis in Six Acts organizzata dal Walker Art Center e dal Museo Jumex di Città del Messico (2022); la mostra collettiva The Paradox of Stillness: Art, Object, and Performance (2021); e le mostre personali di Mario García Torres (2018) e NairyBaghramian (2017). Ha inoltre curato la presentazione alla Walker di Jimmie Durham: At the Center of the World (2017). Dal 2012 al 2016 De Bellis è stato direttore artistico di Miart, la Fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano. Dal 2009 al 2016, è stato direttore fondatore e curatore del Peep-Hole Art Center di Milano. È stato il curatore delle prime due edizioni di Panorama, la mostra itinerante organizzata da Italics, un consorzio di oltre sessanta tra le principali gallerie d’arte italiane. De Bellis ha inoltre co-curato l’edizione inaugurale di Noor Riyadh, un festival annuale di luce e arte costituito da installazioni d’arte pubblica in tutta Riyadh. Ha conseguito un master in studi curatoriali presso il Center for Curatorial Studies del Bard College di New York (2008); un master in gestione dei musei d’arte e architettura contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma (2005) e una laurea in beni culturali presso l’Università degli Studi di Lecce (2003). Vincenzo De Bellis Direttore delle quattro piattaforme espositive di Art Basel I NUMERI 2023
50 I numeri UNO - 2023 L’arte come lavoro Da piccolo, come la gran parte dei ragazzini che frequentavo, il desiderio più grande era fare il calciatore. Un po’ più grandicello, ricordo di aver preso in considerazione l’ipotesi di diventare giornalista, professione che ha finito per fare il mio fratello gemello. Più in là negli anni, ormai alle porte dell’università, il sogno che assumeva i contorni di una vera e propria aspirazione era fare il regista. In realtà, non mi sono mai deciso ad intraprendere studi in quella direzione e, nonostante nessuno della mia famiglia avesse alcun tipo di relazione con l’arte, come percorso universitario ho scelto quello della conservazione dei beni culturali. Ciò non toglie che nella mia testa sia sempre rimasta l’idea del regista, e, forse, non è casuale che mi sai laureato con una tesi in storia e critica del cinema. Anche quando mi è stato offerto di fare un dottorato di ricerca per iniziare una carriera universitaria, un poco ho tentennato, ancora non accantonando del tutto l’idea di diventare un regista. È stato dopo la laurea che ho incominciato seriamente a pensare di voler far il curatore. Casualmente, dopo aver mandato un mio curriculum, ho iniziato a lavorare come addetto di sala alla Fondazione Prada, a Milano. Lì, ho visto Germano Celant che organizzava una mostra e mi è parso evidente che, in fin dei conti, il curatore era fondamentalmente il regista che collocava le opere nello spazio. Da quel momento non ho più avuto dubbi su cosa avrei fatto “da grande”.
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