50 I numeri UNO - 2023 L’arte come lavoro Da piccolo, come la gran parte dei ragazzini che frequentavo, il desiderio più grande era fare il calciatore. Un po’ più grandicello, ricordo di aver preso in considerazione l’ipotesi di diventare giornalista, professione che ha finito per fare il mio fratello gemello. Più in là negli anni, ormai alle porte dell’università, il sogno che assumeva i contorni di una vera e propria aspirazione era fare il regista. In realtà, non mi sono mai deciso ad intraprendere studi in quella direzione e, nonostante nessuno della mia famiglia avesse alcun tipo di relazione con l’arte, come percorso universitario ho scelto quello della conservazione dei beni culturali. Ciò non toglie che nella mia testa sia sempre rimasta l’idea del regista, e, forse, non è casuale che mi sai laureato con una tesi in storia e critica del cinema. Anche quando mi è stato offerto di fare un dottorato di ricerca per iniziare una carriera universitaria, un poco ho tentennato, ancora non accantonando del tutto l’idea di diventare un regista. È stato dopo la laurea che ho incominciato seriamente a pensare di voler far il curatore. Casualmente, dopo aver mandato un mio curriculum, ho iniziato a lavorare come addetto di sala alla Fondazione Prada, a Milano. Lì, ho visto Germano Celant che organizzava una mostra e mi è parso evidente che, in fin dei conti, il curatore era fondamentalmente il regista che collocava le opere nello spazio. Da quel momento non ho più avuto dubbi su cosa avrei fatto “da grande”.
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