44 I numeri UNO - 2023 Il senso della parola onestà Mio zio Mario, che è stato anche mio padrino di battesimo, a Roma - dove io ho passato molte estati della mia infanzia, tanto che, anche se i miei genitori sono napoletani, considero Roma la mia città d’origine – era un ispettore generale delle Poste italiane. Da bambino non capivo cosa facesse esattamente, intuivo, però, che il suo fosse un incarico di potere, visto che andava al lavoro con l’autista. Fra i suoi compiti c’era quello di esaminatore di coloro che si candidavano per un lavoro alle Poste. Ricordo che in quelle occasioni, rientrando la sera, raccontava con grande indignazione dei tentativi di molti conoscenti e addirittura amici, che cercavano di influenzare le sue valutazioni. Ho ancora viva l’immagine di lui che sbottava: “ma questi credono che la mia dignità sia in vendita?”. È allora che, anche se avevo 12 o 13 anni, sono riuscito a dare un senso alla parola onestà. Non so in che misura anche questo fatto abbia influenzato le mie scelte. Sono però sicuro che un dirigente non è tale perché ha ricevuto qualche favore o perché ha le conoscenze ‘giuste’. Un dirigente, ai miei occhi, è prima di tutto una persona integerrima. A volte, mi chiedono quale sia la mia filosofia manageriale. Rispondo che applico la maieutica. Il mio lavoro consiste nel far nascere le idee negli altri e dagli altri. Come detto, ho fatto il liceo scientifico, ma la mitologia classica mi ha sempre affascinato. Lo debbo a mia cugina Licia, che ha qualche anno più di me. Lei ha fatto il liceo classico e, quando stavo da loro a Roma, la sera, per farmi addormentare, mi leggeva i testi della mitologia greca e latina e dei filosofi. Testi che lei doveva studiare per la scuola e che per me sono state le favole della buona notte.
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