196 I numeri UNO - 2023 Scuola pubblica, scuola Normale Dopo l’archeologia (da bambino mi appassionava l’antico Egitto e divoravo Civiltà sepolte di Ceram), al Liceo classico scoprii la filologia, cioè lo studio profondo dei testi: pensavo che fosse un’arte applicabile solo ai testi antichi, quelli latini e greci che imparavo a tradurre, e perciò quando, dopo la maturità, tentai l’esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, lo feci da aspirante filologo classico. Ma all’inizio del primo anno pisano scoprii, grazie alle lezioni di quello che sarebbe diventato il mio maestro, Alfredo Stussi, che quell’arte (anzi, quella forma di artigianato, come lui stesso lo chiamò) si può applicare con lo stesso rigore anche ai testi e alle lingue moderne. Ai dialetti, perfino. E così mi laureai e poi mi addottorai in storia della lingua italiana. La Normale era, quando vi entrai, ancora un luogo in cui ragazze e ragazzi di estrazione sociale, economica e culturale molto varia potevano incontrarsi e mescolarsi proficuamente. Io ero e sapevo di essere un privilegiato, uscito da una famiglia colta e agiata, ma così non era per tutti. Ecco, questo purtroppo è sempre meno vero, come mi sono reso conto di recente, tornando dopo tanti anni alla Normale come supplente (ci insegno da due anni, felice di ritrovarmi nelle stesse aule in cui ho studiato da ragazzo). Lo stesso Direttore della Scuola lo ha notato di recente, con preoccupazione: la mescolanza sociale è sempre meno accentuata nei luoghi e nelle istituzioni in cui si dà la possibilità di crescere culturalmente, di formarsi ad alti livelli. È una spia allarmante dei problemi dell’Italia di oggi, sempre più socialmente divisa.
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