34 I numeri UNO - 2022 Sono come un orologio svizzero: non mi fermo mai Sono pugliese, di Muro Leccese. Nel ’59, a poco più di diciassette anni sono arrivato in Svizzera. Due anni prima, a quindici anni, me n’ero già andato di casa. Vengo da una famiglia numerosa: dieci figli, più la zia, undici, e i genitori tredici. Erano gli anni del dopoguerra. Non si pativa la fame, mio padre aveva una macelleria e un piccolo commercio di vini. Ma dal punto di vista di un ragazzo esuberante qual io ero, era tutto il resto che mancava. Fra tutti i miei fratelli e sorelle – cinque maschi e cinque femmine – io sono stato sempre quello un po’ ribelle. A quattordici anni, imparato i rudimenti del mestiere del meccanico, avevo già una piccola officina dove riparavo moto. Mi piacevano le moto, ero uno spericolato. Ma quando sono venuto in Svizzera non ne ho mai più toccata una. L’anno più triste della mia vita Quando a quindici anni me ne sono andato di casa, con in tasca 500 lire, ho raggiunto un mio amico che mi ha ospitato a Milano. È stato l’anno più triste della mia vita. I milanesi in quegli anni ce l’avevano con i ‘terun’. Io lavoravo in una carrozzeria e guadagnavo quel poco che mi permetteva di comprami un panino e poco più.
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