I NUMERI UNO

159 I numeri UNO - 2022 si svolgeva dietro le quinte. Presi un telegramma vi scrissi semplicemente “j’accepte” e lo inviai. Mi sono trovato catapultato in un ambiente completamente nuovo, complesso, dove le gerarchie erano rigide, dove fra gli stessi cinque amministratori delegati vigeva una forma di competitività che creava un clima di costante tensione. Per giunta fra i cinque dipartimenti, visto che quello per il quale mi sentivo portato, quello della comunicazione e della cultura, spettava per statuto al presidente, a me hanno affidato quello tecnico che si occupava di logistica, di costruzioni, di informatica, di laboratori, di produzione Tutte cose di cui io ero sostanzialmente digiuno. Confesso che è stato faticoso riuscire a capire e a far capire ai miei collaboratori, ai direttori delle varie divisioni e imprese all’interno del mio dipartimento, praticamente tutti tecnici, quale fosse il mio ruolo. Ci sono però riuscito dimostrando che a me spettava soprattutto il compito di presentare i problemi in seno al “governo” dei cinque amminisratori e di trovare il modo più efficace per risolverli. Alla fine, devo ammettere che malgrado tutto non mi dispiaceva quel lavoro: in fin dei conti, diversamente da quello che fanno i tecnici che ragionano secondo un modello binario (sì/no; giusto/sbagliato) nel mio ruolo, sostanzialmente politico, potevo far leva a 360° sula varie sfumature che caratterizzano le dinamiche relazionali. Ma, c’era un ma. Il lavoro si svolgeva a Zurigo. Per giunta si lavorava dalla mattina alle sei praticamente alla sera alle undici, perché c’erano anche tutti gli incontri informali ma ad alto livello importanti per il lavoro, sei giorni e mezzo alla settimana, ligi a quello che aveva detto il suo fondatore Gottlieb Duttweiler “Voi lavorate sette giorni salvo la domenica mattina che è riservata al culto”. Una situazione che poco si attagliava alle esigenze della famiglia, che continuava a vivere in Ticino. Ma non ho mollato. Neppure quando l’amico Flavio Cotti, che era Consigliere federale, mi propose di diventare ambasciatore svizzero a Roma. La tentazione fu forte. Vuoi mettere essere ambasciatore a Roma, invece di prendere il tram nr 4 ogni mattina alle sei e quando arrivavi, c’era ancora il Platzspitz, trovavi le siringhe, il vomito, tutti quei segni di un dramma umano… Ma non ho ceduto. Io ancora oggi sono fiero di aver detto “Flavio, dopo un anno e mezzo non mollo, perché rifletti un po’: se io mollassi dopo un anno e mezzo, con quale prestigio vado a Roma? Tutti diranno “Non ce l’ha fatta alla Migros, c’è voluto il suo amico Flavio Cotti per farlo entrare”.

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