117 I numeri UNO - 2022 Nel 2013 ho avuto la prima proposta per la regia di un’opera buffa. E così sono tornato a lavorare nei teatri sovvenzionati. Conosco l’opera fin da bambino, poiché era la passione di mia nonna Maria: non sapeva leggere ma conosceva le arie a memoria. Andare all’opera per me è come andare allo stadio e nelle mie regie ho cercato di far “giocare” le interpreti e gli interpreti con gioia per fare in modo di trasmetterla al pubblico. Parrebbe che oggi il genere Opera Lirica sia sinonimo di noia, di tre ore trascorse senza la possibilità neppure di andare in bagno. Perché scusarsi se si ha un colpo di tosse? E perché dover subire la distrazione di un tabellone che traduce quello che Mimì o Aida cantano? Conosco quasi tutti i teatri svizzeri, piccoli e grandi, ma più che all’edificio, mi affeziono al suo pubblico. Il mio mestiere è andare dagli spettatori, non il contrario. Vado ovunque mi chiamino, ai laghi, in città, paesi, e pure monti. Siano essi quaranta o milleduecento. Quando entro sul palcoscenico, al buio provo la stessa felicità della prima volta. Come dopo quarantotto anni sia tutto ciò ancora possibile, e perché, “non so”, come canta Mimì nella Bohème, che dice pure: “aiutavo il destino”. Direi che è stato necessario avere la valigia sempre davanti alla porta. È tuttora così. Le lingue straniere, dapprima con la cultura francese, poi con quella elvetica e poi tedesca, hanno giocato un ruolo determinante nella mia vita artistica, nonché privata. Perché scusarsi se si ha un colpo di tosse?
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