10 I numeri UNO - 2022 Perché chi legge una storia si predispone a credere a ciò che in essa viene narrato, anche se lontano dalla propria esperienza. Si tratta di una sorta di beneficio del dubbio che il lettore concede al testo, che gli esperti chiamano sospensione dell’incredulità. Il lettore deve poter immergersi nelle immagini che sono evocate dal racconto, finendo coinvolto in quel viaggio che apre finestre su scenari che ignora, non sa di ignorare o (appunto) dava per scontati. Compito ambizioso, che si complica perché la scrittura non potrà mai rendere perfettamente l’oralità. Le storie che trovate in questo volume le ho raccolte in ore di registrazione orale. Non semplice tradurle in forma scritta, avendo l’intenzione e anche l’abilità di restituire, seppur in modo parziale, il fascino della narrazione, per giunta con l’urgenza che in quella narrazione chi ne ha fornito i contenuti, si possa riconoscere ed essere riconosciuto. È utile tornare a precisarlo: chi stende questa nota è stato solamente l’io-scrivente. Anzi: l’io-sintetizzante. Che, appunto, ha sintetizzato - impresa notoriamente tutt’altro che facile, in quanto impone di selezionare, tagliare, rimbastire - ore di registrazioni. Cercando di evitare malintesi, di non incorrere in strafalcioni, di saper individuare l’essenziale sacrificando quello che può sembrare, ma spesso non è, superfluo. Senza in ogni caso penalizzare la sostanza del racconto. Aspirando ad una uniformità stilistica. Inseguendo la consecutio temporum. Bisticciando, non sempre con convinzione, con la punteggiatura. Finendo confrontato con l’incompetenza consapevole, che trova puntuale conferma nel socratico “so di non sapere”. L’intento è quello di riuscire, attraverso un attento e, per quanto possibile, accurato utilizzo delle parole a trasmetter il senso che definisce il filo conduttore del racconto. Restando fluidi, senza cadute di tono e senza retorica. Se la sintesi è stata un’azione solitaria, il racconto in questo caso è collettivo. Storie singolari che compongono un arazzo plurale. Confidando di essere riuscito a consegnare, un messaggio, in grado di indurci ad uscire per un poco da noi stessi e guardarci nelle azioni ed emozioni dalle quali la fretta della vita spesso ci distrae. Nulla più che un valido (così si spera) pretesto per fermarsi un istante e riprendere a notare quello che ogni giorno, per abitudine o per errore, finisce per sfuggirci. La sintesi forse non è fresca, elegante e garbata come desiderato. Ma l’obiettivo non cambia: che questi frammenti di straordinaria quotidianità vengano letti, magari interpretati, inducendo a riflettere. Lasciando un segno del proprio passaggio. Giangi Cretti
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