I NUMERI Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia CAMERA DI COMMERC ITALIANA PER LA SVIZ CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909
2 I numeri UNO - 2022 III edizione, 2022 Editore: Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Autore: Giangi Cretti Hanno collaborato: Marco De Stefano, Veronica Saddi Fotografie: gentilmente fornite dai premiati Stampa: finito di stampare in data 28 Gennaio 2023 dalla tipografia Nastro&Nastro S.r.l.
3 I numeri UNO - 2022 INDICE Prefazione di Vincenzo Di Pierri Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera 5 Prefazione di Silvio Mignano Ambasciatore d’Italia in Svizzera 7 Note del curatore 9 Günther Dissertori Rettore del Politecnico federale di Zurigo 12 Antonio Gabrieli Imprenditore 32
4 I numeri UNO - 2022 Alexander Haumer Chirurgo plastico e ricostruttivo 48 Ilaria Resta Presidente “Perfumery and Beauty” e membro comitato esecutivo Firmenich 66 Massimo Rocchi Comico e regista 94 Alberto Siccardi Presidente del Consiglio di Amministrazione di Medacta International 120 Marco Solari Presidente Locarno Film Festival 140 Francesco Stellacci Scienziato Professore EPFL 170 Maria Antonietta Terzoli Critica letteraria, storica della letteratura, professoressa universitaria 196 Luciana Vaccaro Rettrice HES-SO 224
5 I numeri UNO - 2022 Il Presidente Tornare a parlare di numeri UNO è motivo di grande soddisfazione. Perché, come ho già avuto modo di dire in precedenti occasioni e mi fa piacere ribadirlo, significa parlare di donne e uomini che, in ambiti diversi, seguendo traiettorie professionali differenti, si sono distinti, contribuendo, a vario titolo, a tessere, non foss’altro con la semplice forza dell’esempio, relazioni positive e, direttamente e indirettamente, a far crescere e consolidare il rispetto reciproco fra l’Italia e la Svizzera. Donne e uomini che rappresentano le tessere che compongono il variegato e straordinariamente ricco mosaico delle esperienze che caratterizzano il vissuto di storie che hanno in comune il fatto di essere maturate in un percorso di migrazione, di spostamenti non solo geografici, che oggi ancora, seppur con modalità e opportunità nuove, al pari di ieri, sono dettati dalla volontà e dal bisogno di migliorare le proprie condizioni di vita. Donne e uomini che fungono da esempio – in tal modo esercitando una funzione pedagogica e stimolando una sana emulazione – di quelle che siamo soliti definire storie di successo. Non importa quanto eclatanti. Ciascuna ha il pregio di poter dimostrare come sia possibile, pur magari nella disparità delle condizioni di partenza, raggiungere traguardi all’inizio solamente vagheggiati. Presupposto di risultati, materiali e immateriali che, non immediatamente e non sempre con piena consapevolezza collettiva, si riverberano positivamente su un’intera comunità. Ne torno a parlare per l’ultima volta, perlomeno in veste di Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera. Esperienza questa, che, raggiunto il limite massimo di quattro mandati previsto da statuto, conclude un periodo stimolante, nel quale aver promosso e sostenuto, nel 2019, il Premio I Numeri UNO è uno dei traguardi al quale resto particolarmente legato. Per le ragioni a cui ho accennato in precedenza, ma anche perché rappresenta la testimonianza di una felice e fattiva collaborazione con le istituzioni italiane che operano nella Confederazione. Perché fornisce, CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZER CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909
6 I numeri UNO - 2022 seppur minuscola, plastica concretezza alla ricchezza, all’efficacia e alla varietà dell’azione che il nostro Paese, nelle sue proiezioni fuori dai patri confini, potrebbe mettere in campo ogni qualvolta decide di operare effettivamente come sistema. È un motivo di orgoglio aver contributo - nel mio piccolo, come si suol dire in queste occasioni - a dare forma e sostanza a questo Premio. Resta invariata, perché solidamente ancorata, la mia convinzione che rappresenti un modo, uno dei tanti senza dubbio, per render pubblico il riconoscimento a percorsi professionali e di vita che consentono di intuire quali siano il valore e i valori che caratterizzano le tante Italie che vivacizzano, colorandolo, il mondo fuori d’Italia. Percorsi di varia umanità. Che si snodano in un territorio geograficamente, ma anche storicamente, riconoscibile. Che per quanto ci riguarda è la Svizzera. Un’esperienza che, per sua natura, è mutuabile e, opportunamente adattata, in grado di individuare percorsi e, pertanto, di raccontare storie, che promanano da territori che costituiscono quell’Altrove fortemente connotato dalla presenza di italiani che, per scelta e ancor troppo spesso per necessità, vivono e operano lontani dall’Italia. Un’esperienza che, per naturale evoluzione, potrà essere ulteriormente valorizzata. Questo è l’auspicio che spero sarà condiviso da chi mi è succeduto assumendo la carica di Presidente della Camera di Commercio Italiana in Svizzera. Vincenzo di Pierri Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera (giugno 2010 – agosto 2022)
7 I numeri UNO - 2022 L’Ambasciatore La Svizzera non è soltanto l’unico Paese fuori dalla nostra penisola nel quale l’italiano è lingua ufficiale, lingua nazionale, lingua (sempre più) di uso corrente nella vita quotidiana. È anche l’unico Paese nel quale i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri siano stati celebrati nella più alta sede istituzionale, il Palazzo federale, con l’intervento del Ministro degli Affari Esteri, nonché Vice Presidente e di lì a pochi mesi Presidente della Confederazione, che ha partecipato in prima persona, il 14 settembre 2021, alla lettura di una terzina della Commedia. È anche il Paese nel quale gli scambi commerciali non si sono fermati durante la pandemia; dove, appena finita quest’ultima, il livello dell’interscambio ha superato di molto quello precedente l’emergenza; dove nel 2022 le esportazioni italiane sono cresciute addirittura del 54%. È, questo, il Paese nel quale vivono ormai quasi settecentomila nostri concittadini, la quarta o forse terza comunità italiana nel mondo e certamente la prima proporzionalmente alla popolazione complessiva. Quando perciò alcuni anni fa la Camera di Commercio Italio-Svizzera (a proposito: da quasi un decennio ininterrottamente prima nella classifica di rendimento di tutte le camere di commercio al mondo stilata dal competente ministero) e l’Ambasciata d’Italia hanno pensato di dare un riconoscimento ai migliori tra i nostri connazionali o tra gli svizzeri legati all’Italia, la difficoltà maggiore non è stata imporsi una selezione rigorosa, tanto da definire i prescelti con il titolo di Numeri Uno nei rispettivi settori di attività: la difficoltà maggiore è stata semmai quella opposta, perché di potenziali premiandi ve n’erano – e ve ne sono tuttora – fin troppi, tutti davvero meritevoli, per quanti sforzi si facciano per stringere ancora di più il filtro della valutazione. Questa felice difficoltà non ha smorzato gli entusiasmi. È stata anzi uno stimolo maggiore per dare ogni anno maggior rilievo al premio e all’evento che accompagna la consegna dei riconoscimenti. Un orologio svizzero, si autodefinisce l’imprenditore fattosi da sé Antonio Gabrieli, evidentemente consapevole di essere stato in grado di unire la creatività e coraggio di un pugliese all’esattezza e rigore di un elvetico. Che poi forse i due non siano mondi così lontani e che sia anzi difficile distinguere oggi le Ambasciata d’Italia Berna
8 I numeri UNO - 2022 rispettive qualità ce lo dice la parabola di un italiano di Merano, di madre lingua tedesca, che dopo essere transitato per i laboratori del CERN è giunto a dirigere il Politecnico di Zurigo: il rettore Günther Dissertori. Oppure si può passare per lo stesso CERN e arrivare a dirigere un’università, a Sion, e addirittura presiedere la conferenza dei Rettori di tutta la Confederazione, senza perdere l’accento napoletano, come di sé stessa dice la Rettrice Luciana Vaccaro. Bilingue, altoatesino, è anche il Dottor Alexander Haumer, che oggi si dedica a ricostruire i tessuti umani e al contempo partecipa a quell’umana tessitura di un arazzo collettivo, multicolore e multiforme, che sono la società svizzera, quella italiana, quella europea, quella della ricerca scientifica internazionale. Ancora dalla Puglia, idealmente trasportato da un robot come il Goldrake dell’infanzia da lui stesso ricordata, è giunto al Politecnico di Losanna il Professor Francesco Stellacci. L’infanzia è una costante che accompagna tutti i premiati e che assomiglia, nel caso dell’economista Ilaria Resta, ai quartieri napoletani dei romanzi di Elena Ferrante. Libri e memorie dell’infanzia e dell’adolescenza riecheggiano inevitabilmente nelle parole di Maria Antonietta Terzoli, che dal natio Lago di Como è approdata sulle sponde del Reno, a Basilea, divenendo una delle più importanti esperte di letteratura italiana al mondo – fino ad essere tra le promotrici proprio della lettura dantesca nel Palazzo Federale. E di cultura classica parla Massimo Rocchi, oggi l’attore italiano più famoso in terra svizzera, capace di costruire e catturare con testi ingegnosi nei quali risuonano, si scontrano e si incontrano le sonorità del plurilinguismo dei suoi due Paesi, quello natale e quello adottivo. E a proposito di contrasti e di incontri, è significativo che una storia fatta di rigore e di ricerca scientifica, racconto di un dirigente innovatore qual è Alberto Siccardi, parta dalla parola amore. Amore per l’Italia che risuona anche in uno svizzero ticinese di grande fama e successo, Marco Solari, che di sé stesso dice: «Io sono italianofilo fino al midollo. Su questo non discuto con niente e con nessuno». E sembra proprio di sentirglielo dire, con la signorilità dolce ma rigorosa che lo contraddistingue Rigenerando tessuti umani, intrecciando orditi e trame di studio, ricerca e istruzione, scegliendo i fili colorati di un nuovo spettacolo o di un prodotto innovativo, tutti insieme – anche noi che li abbiamo scelti, e coloro che saranno presenti alla premiazione o che leggeranno questo libro – abbiamo ricamato e continuiamo a ricamare un arazzo enorme, senza una fine visibile: come una tela di Penelope mossa da una finalità felice, perché qui non ci sono Proci da scacciare ma soltanto Odissei da accogliere. Silvio Mignano Ambasciatore d’Italia in Svizzera
9 I numeri UNO - 2022 Il curatore È un presupposto, pertanto, lo adotto come incipit: è stato un privilegio. Anche ‘stavolta, era già accaduto in quella precedente, mi sorprendo sorpreso di stupirmi. È stata un’esperienza dalla quale esco, anzi riparto, arricchito. Con il senno di poi, ne prendo atto: non poteva essere altrimenti. Vi capitasse di leggere le pagine che seguono – e vivamente me lo auguro – seppur in misura diversa, ne sono convinto, succederebbe anche a voi. Aver ascoltato, perché è soprattutto questo ciò che ho fatto, le storie di questi dieci protagonisti è stato come intraprendere un viaggio, sul filo della memoria altrui, alla fine del quale mi sono reso conto di ritrovarmi ancora una volta (appunto) sedotto e… garbatamente accompagnato. In un mondo, anzi dentro stanze di straordinaria quotidianità, del cui fascino - pur magari presumendo di averne, seppur vaga, un’idea - non avevo piena consapevolezza. Un fascino che acquisiva consistenza man mano che, seguendo il filo di un racconto, nella mente si aprivano finestre su orizzonti che, per superficialità abitudini e persino presunzione, avevo fin lì dati per scontato. Che, invece, si rivelavano da una prospettiva improvvisa e nuova. Altra cosa è saper riprodurre l’essenza di quel fascino, costringendo le storie che l’hanno suscitato, sulle pagine di questo volume. Che non è stata una scelta banalmente rituale. Al contrario, mentre molto, se non tutto si volatilizza nella Rete, voler attribuire senso compiuto alla narrazione attraverso la fisicità del libro - che occupa spazio e dura nel tempo - è intenzionale (e ostinata?) espressione della volontà di andar oltre l’effimero. I contenuti li hanno forniti loro: i premiati. Sono loro, che, lasciando trasparire sprazzi della loro personalità, condividendo le loro aspirazioni, di volta in volta, rivestono il ruolo dell’io narrante. Sono loro, ed è naturale, che hanno dato corpo alle storie. Ma la vera impresa è saper raccontare, mettendole poi su carta, quelle storie. Che solitamente significa attirare e trattenere l’attenzione del lettore, sollecitandogli la voglia di girare pagina, per scoprire cosa succede dopo. Insomma, non basta saper cosa dire se poi non sai come farlo. La sfida è raccontare in un modo sufficientemente convincente, intrigante e, nel nostro caso, credibile.
10 I numeri UNO - 2022 Perché chi legge una storia si predispone a credere a ciò che in essa viene narrato, anche se lontano dalla propria esperienza. Si tratta di una sorta di beneficio del dubbio che il lettore concede al testo, che gli esperti chiamano sospensione dell’incredulità. Il lettore deve poter immergersi nelle immagini che sono evocate dal racconto, finendo coinvolto in quel viaggio che apre finestre su scenari che ignora, non sa di ignorare o (appunto) dava per scontati. Compito ambizioso, che si complica perché la scrittura non potrà mai rendere perfettamente l’oralità. Le storie che trovate in questo volume le ho raccolte in ore di registrazione orale. Non semplice tradurle in forma scritta, avendo l’intenzione e anche l’abilità di restituire, seppur in modo parziale, il fascino della narrazione, per giunta con l’urgenza che in quella narrazione chi ne ha fornito i contenuti, si possa riconoscere ed essere riconosciuto. È utile tornare a precisarlo: chi stende questa nota è stato solamente l’io-scrivente. Anzi: l’io-sintetizzante. Che, appunto, ha sintetizzato - impresa notoriamente tutt’altro che facile, in quanto impone di selezionare, tagliare, rimbastire - ore di registrazioni. Cercando di evitare malintesi, di non incorrere in strafalcioni, di saper individuare l’essenziale sacrificando quello che può sembrare, ma spesso non è, superfluo. Senza in ogni caso penalizzare la sostanza del racconto. Aspirando ad una uniformità stilistica. Inseguendo la consecutio temporum. Bisticciando, non sempre con convinzione, con la punteggiatura. Finendo confrontato con l’incompetenza consapevole, che trova puntuale conferma nel socratico “so di non sapere”. L’intento è quello di riuscire, attraverso un attento e, per quanto possibile, accurato utilizzo delle parole a trasmetter il senso che definisce il filo conduttore del racconto. Restando fluidi, senza cadute di tono e senza retorica. Se la sintesi è stata un’azione solitaria, il racconto in questo caso è collettivo. Storie singolari che compongono un arazzo plurale. Confidando di essere riuscito a consegnare, un messaggio, in grado di indurci ad uscire per un poco da noi stessi e guardarci nelle azioni ed emozioni dalle quali la fretta della vita spesso ci distrae. Nulla più che un valido (così si spera) pretesto per fermarsi un istante e riprendere a notare quello che ogni giorno, per abitudine o per errore, finisce per sfuggirci. La sintesi forse non è fresca, elegante e garbata come desiderato. Ma l’obiettivo non cambia: che questi frammenti di straordinaria quotidianità vengano letti, magari interpretati, inducendo a riflettere. Lasciando un segno del proprio passaggio. Giangi Cretti
I numeri UNO - 2022 11 CAMERA DI COMMERC ITALIANA PER LA SVIZ CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 CCIS 1909 CAMERA DI COMMERCIO ITALIANA PER LA SVIZZERA CCIS 1909 I NUMERI Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia
12 I numeri UNO - 2022 “© ETH Zürich / Markus Bertschi”
13 I numeri UNO - 2022 Il Prof. G. Dissertori ha studiato Fisica all’Università di Innsbruck, in Austria. Nel 1997 ha conseguito il dottorato di ricerca in Fisica (summa cum laude), con una tesi su studi teorici e analisi di dati sperimentali relativi all’esperimento ALEPH presso il collisore di elettroni-positroni LEP del CERN. Nei quattro anni successivi ha lavorato al CERN, prima come Research Fellow e poi come Research Staff scientist. In questo periodo ha continuato a lavorare sull’esperimento ALEPH e ha iniziato a occuparsi del rivelatore CMS presso il Large Hadron Collider (LHC). Nel settembre 2001 è arrivato al Politecnico di Zurigo come professore assistente. Dal 2007 è professore ordinario. Durante questi anni all’ETH, il suo gruppo di ricerca si è occupato principalmente della costruzione, della messa in funzione e del funzionamento dell’esperimento CMS, con particolare attenzione al calorimetro elettromagnetico. Dall’inizio dell’acquisizione dei dati nel 2009, il suo gruppo ha svolto un ruolo di primo piano nell’analisi dei dati di CMS. Negli anni dal 2016 al 2018, G. Dissertori è stato vice portavoce dell’esperimento CMS. Inoltre, nell’ultimo decennio, ha sviluppato una seconda linea di ricerca, che mira a portare il knowhow della strumentazione per rivelatori al campo dell’imaging biomedico, con particolare attenzione allo sviluppo di nuovi scanner pre-clinici e clinici per la tomografia a emissione di positroni. Ciò ha portato anche alla creazione di una start-up dell’ETH. Oltre alle attività di ricerca, G. Dissertori presta particolare attenzione all’insegnamento presso l’ETH, che è già stato premiato con quattro “Goldene Eule” dell’ETH (nel 2005, 2009, 2015 e 2020) e con il Credit Suisse Award per il miglior insegnamento all’ETH nel 2013. Inoltre, dal 2019 al 2021 è stato Direttore degli Studi del Dipartimento di Fisica dell’ETH. Nel 2021 è stato eletto rettore del Politecnico di Zurigo, carica assunta nel febbraio 2022. Günther Dissertori Rettore del Politecnico federale di Zurigo I NUMERI 2022
14 I numeri UNO - 2022 Volevo fare l’astronauta Sono nato in Alto Adige, in un paese a due chilometri da Merano. In una famiglia di madrelingua tedesca, come quasi il 70%, della popolazione altoatesina. Ho comunque imparato l’italiano a scuola, che in Alto Adige ai miei tempi veniva insegnato a partire dalla seconda elementare. Oggi, si comincia già dalla prima. L’ho studiato fino alla maturità e lo sapevo abbastanza bene anche se allora lo usavo quasi solo a scuola. Il resto del mio contesto di vita era quasi completamente tedescofono. Poi mi sono iscritto all’università di Innsbruck e in quegli anni non ho più praticamente parlato italiano. La cosa buffa è che poi andando a Ginevra, al CERN, per fare il dottorato, dove rimasi per alcuni anni, mi sono trovato immerso in una comunità italiana molto grande, e il caso volle che i miei colleghi e anche gli amici più stretti fossero tutti italiani. Così, è a Ginevra che ho davvero imparato l’italiano. L’ho usato tantissimo anche se la mia lingua madre è il tedesco. da giovane professore assistente durante gli studi sui rivelatori con un fascio di particelle
15 I numeri UNO - 2022 Già durante la scuola dell’obbligo avevo manifestato interesse per le materie scientifiche e per le scienze naturali. Scontata, pertanto, la scelta di frequentare un liceo scientifico. Mi affascinavano le missioni spaziali che seguivo con passione. Diventare astronauta era diventato il mio sogno. Ad un certo punto, quando ero al CERN, ho pure provato a realizzarlo. C’era un concorso dell’Agenzia Spaziale Italiana a Roma per aspiranti astronauti per l’ESA, l’agenzia spaziale europea. Mi sono iscritto, ho fatto qualche test che fino ad un certo punto sono andati bene, ma sapevo che non sarei andato fino in fondo. Infatti così è stato. Al liceo ero anche molto interessato alla genetica. Un campo che, a quei tempi, metà anni Ottanta, s’iniziava ad esplorare. Alla fine, quasi a voler mettere alla prova me stesso, perché pensavo che fosse uno studio per cervelloni, decisi di studiare fisica. Non si rivelò un atto di coraggio, perché in realtà mi sono accorto che come si dice in tedesco: “Alle kochen nur mit Wasser” (Tutti cucinano solo con l’acqua) Ho capito che ce la potevo fare anch’io e che non era proprio necessario essere intellettualmente superdotati per riuscirci. Così ho continuato per la mia strada. Gli studi sono andati bene e ho acquisito sempre maggior motivazione. Durante il terzo anno ho saputo che al CERN esisteva un programma estivo che consentiva ad un centinaio di studenti del terzo o quarto anno di università di entrare per due mesi nel più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, avendo così la possibilità di collaborare in gruppi di ricerca e seguire anche le lezioni. Con l’aiuto di un mio professore a Innsbruck feci domanda e fui ammesso. “Alle kochen nur mit Wasser”
16 I numeri UNO - 2022 Da allora non ho più lasciato la Svizzera Questo è stato un passo molto importante: era il ‘92, per la prima volta mettevo piede in Svizzera al CERN a Ginevra. Quei due mesi mi hanno fatto capire che erano quelle le cose di cui avrei voluto davvero occuparmi. Tornato a Innsbruck decisi la tesi di laurea l’avrei fatta con un gruppo che era coinvolto in un esperimento al CERN. Lì ho fatto anche il dottorato, grazie ad un programma di scholarship che consentiva a studenti di università austriache di svolgere il dottorato al CERN. Sono stato uno dei primi dottorandi che ha approfittato di questo programma, e quindi, anche se formalmente ero un dottorando di Innsbruck, il mio dottorato l’ho fatto full time al CERN. Era settembre del ’94, quasi trent’anni fa … Da allora non ho più lasciato la Svizzera. Abitavo a Ginevra e, concluso il dottorato, ho ottenuto un primo posto da Postdoc, sempre al CERN (dove questo ruolo si chiama fellow), che mi ha permesso di rimanere altri due anni. Trascorsi i quali, dopo aver scartato, nel frattempo, un’offerta per recarmi negli Stati Uniti, ho vinto un posto come ricercatore del CERN e così ci sono rimasto ulteriori due anni. Dal 1994 al 2001, praticamente sono stato a tempo pieno al CERN. Nel 2001, avevo poco più di trent’anni, si è aperto un posto per assistant professor all’ETH di Zurigo. Inizialmente era un’opportunità che non avevo preso in seria considerazione, credevo di esser troppo giovane per avere delle reali possibilità. Per fortuna, c’era sempre il mio vecchio professore di Innsbruck, il quale mi aveva sempre aiutato e creduto in me. Mi convinse a fare domanda. Con mia grande sorpresa venni assunto e così ventuno anni fa entravo nel Politecnico federale di Zurigo.
17 I numeri UNO - 2022 nella caverna sperimentale di fronte al rivelatore di particelle CMS presso l’acceleratore LHC del CERN
18 I numeri UNO - 2022 Avevo tre uffici Ho iniziato, e la cosa è durata qualche anno, a fare il pendolare tra Ginevra e Zurigo, perché pur essendo professore all’ETH, il mio gruppo di ricerca, in gran parte, era stazionato al CERN. Non so quante migliaia di ore ho trascorso in treno… tant’è, che ero solito affermare che disponevo di tre uffici: uno a Ginevra, uno a Zurigo e l’altro… sull’Intercity che collegava le due città. Nel 2007, dopo aver valutato un’offerta come direttore in un Istituto di Ricerca a Vienna, sono diventato professore ordinario all’ETH. Decisi di restare a Zurigo, perché avevo un bel gruppo e sarei stato più vicino al CERN. Lo standard di vita in Svizzera è altissimo. Stavo bene. Anche a Vienna si vive indubbiamente bene, ma le condizioni in ambito di ricerca che offre l’ETH sono fra le migliori al mondo. All’ETH ho fatto un bel po’ di carriera: sono stato professore ordinario, poi, per parecchi anni, direttore dell’Istituto di fisica delle particelle. In seguito, sono diventato direttore degli studi del dipartimento di fisica. Un percorso che, insieme ai tanti altri lavori di commissione, ha fatto sì che il mio nome fosse conosciuto al Politecnico federale. Inoltre, mi sono sempre dedicato moltissimo all’insegnamento, una cosa che mi è sempre piaciuta tantissimo. E che, a quanto pare, apprezzano molto anche gli studenti, che per ben quattro volte mi hanno attribuito il premio quale miglior professore della didattica di fisica. A cui si aggiunge anche un premio, che puoi ricevere solo una volta, quale miglior professore non solo del dipartimento di fisica, ma dell’intero Politecnico. Mi sono fatto così la fama di uno che, diciamo così, si dedica alla didattica.
19 I numeri UNO - 2022 Alla fine del 2020, quando si trattò di avanzare proposte per l’elezione del nuovo Rettore, vari colleghi sono venuti da me e mi chiesero se fossi interessato a candidarmi. All’inizio io rimasi un po’ cauto, ma alla fine mi convinsero e mi candidai. C’erano altri due candidati. L’elezione prevedeva un lunghissimo iter, con audizioni di fronte a varie commissioni e a tutti i sedici dipartimenti. Alla fine, nella primavera del 2021 i professori mi hanno eletto e il primo febbraio del 2022 ho iniziato questa esperienza straordinaria. Mi sembra quasi surreale essere finito qua. Non è un traguardo che avevo pianificato. Le cose hanno seguito il loro corso senza che io intenzionalmente le abbia pilotate. “© ETH Zürich / Markus Bertschi”
20 I numeri UNO - 2022 Tutti i vicepresidenti sono uguali ma il Rettore lo è di più È bene specificare quale sia il ruolo del Rettore. Per molte università, anche qui in Svizzera, rappresenta la funzione più alta. Equivale a quella che in un’azienda privata ricopre il CEO. All’ETH e anche all’EPFL non è così. All’ETH il CEO è il Presidente, che è Joël Mesot. È lui il primo responsabile per tutto: per le relazioni, la politica, l’assunzione dei professori e delle professoresse. Poi ci sono sei vicepresidenti. Ciascuno ha una specifica competenza: ricerca, leadership, Personnel Development, finanze ecc. Il Rettore all’ETH è il vicepresidente competente per la didattica, per l’insegnamento, per tutti gli aspetti di education. Quindi, programmi di Bachelor, Master, dottorato, formazione continua. Per due ragioni il Rettore si distingue dagli altri vicepresidenti. Formalmente svolge anche la funzione di Presidente vicario. Inoltre, e questo è molto importante il Rettore è l’unico fra tutte questa cariche, incluso il Presidente, che viene eletto dai professori. Il Presidente viene nominato dal Consiglio dell’ETH e poi incaricato dal Consiglio Federale. I vicepresidenti sono scelti dal Presidente che li propone al Consiglio dell’ETH. Il Rettore invece, come detto, è eletto dai professori (e solo dopo proposta è confermato dal Consiglio dell’ETH). In questo senso il Rettore ha un ruolo molto importante anche dal punto di vista accademico, perché, in un certo senso, è il rappresentante di tutti i professori nell’Executive board. Da quando ho assunto l’incarico ho deciso di non insegnare. Se volessi nessuno me lo impedirebbe ma l’agenda del Rettore è talmente piena che è praticamente impossibile trovare il tempo. L’insegnamento se lo fai in modo serio necessita di un investimento di un bel po’ di ore per la pre-
21 I numeri UNO - 2022 parazione. Mi dedico alla didattica comunque e poi negli ultimi vent’anni ho insegnato tantissimo. Per quello al momento va bene così. Posso ben immaginare che fra qualche anno mi mancherà. Comunque, una cosa importante per me è di non dover chiudere tutte le mie attività di ricerca. Il mio gruppo di ricerca, che è un gruppo di ricerca dell’ETH, è fortemente coinvolto nell’attività del CERN. Ci sono progetti in corso e non potevo fermarli. Sono sempre responsabile del gruppo di ricerca. Ovviamente, ora ho molto meno tempo, ma ho la fortuna di avere dei ricercatori con tanta esperienza. Nel mio gruppo c’è un posto senior scientist del quale mi fido quasi ciecamente, al quale ho potuto delegare moltissime delle mie mansioni, così per ora sono tranquillo. Ogni settimana riesco a trovare un po’ di ore per interagire con i dottorandi che ho e anche con i miei ricercatori per fare il punto della situazione. Naturalmente non è comparabile a prima, ora infatti non posso seguire più in dettaglio tutto quello che succede al CERN. In un certo senso, al momento sto facendo una specie di esperimento per vedere un po’ come funziona. Mi sembra stia andando bene, in seguito valuterò se e come continuare. “© ETH Zürich / Markus Bertschi”
22 I numeri UNO - 2022 in occasione di una presentazione all’Umweltarena di Spreitenbach (AG). “© Markus Senn / Manufaktur Passion for Pictures”
23 I numeri UNO - 2022
24 I numeri UNO - 2022 Abituato a coniugare attività diverse D’altronde al CERN ero molto coinvolto perché lì, parallelamente alle attività di professore all’ETH, mi sono creato un network molto molto grande e ho fatto una certa carriera, arrivando ad essere Deputy Spokesperson di uno dei grandi esperimenti (CMS) al Large Hadron Collider. Passavo tre/quattro giorni in media alla settimana al CERN. Era un po’ dura per la famiglia che stava a Zurigo e anche combinare questo impegno con le attività all’ETH non era così facile. Tutto sommato, sono sempre stato abituato a tanta mole di lavoro e a tante attività diverse. Sono anche diventato il Delegato Scientifico della Svizzera nel Consiglio del CERN, nel quale ogni Stato membro designa due propri rappresentanti: uno istituzionale - per esempio per la Confederazione un esponente della SEFRI la Segreteria di Stato per la Formazione la Ricerca e l’Innovazione - e uno scientifico. Io sono stato nominato con questa funzione. Dopo essere stato eletto da Rettore sono uscito da quel ruolo, qualche volta mi manca perché ovviamente non posso più mantenere tutti i contatti che avevo. È stata comunque una scelta ben precisa. Riesco ancora a seguire un’altra attività che si è sviluppata dieci anni fa attorno all’opportunità di usare il know-how della fisica delle particelle nella costruzione di rivelatori. È il campo della imaging in medicina, che applica una tecnica che si chiama positron emission tomography che si basa, in scala più piccola, sulla tecnologia del rivelatore di particelle. Si è creata l’occasione di costruire nuovi tipi di scanner per uso medico. Abbiamo cominciato a lavorare su uno scanner per esperimenti preclinici, nei quali questo scanner viene usato insieme ad uno scanner di risonanza magnetica per studiare
25 I numeri UNO - 2022 il gruppo di ricerca di GD presenta i primi risultati sullo sviluppo del loro scanner PET preclinico SAFIR.
26 I numeri UNO - 2022 dei fenomeni su cavie per cui la sua dimensione è molto piccola. Si è sviluppata così l’idea di costruire un scanner rivelatore solo per la testa. Solitamente gli scanner che si trovano negli ospedali sono grandi, costruiti a misura d’uomo per ospitare l’intero corpo del paziente. Una tecnica analoga viene usata anche per la diagnosi di un possibile sviluppo di Alzheimer, attraverso la visualizzazione dei depositi di placche nel cervello. Pare, c’è un dibattito in corso, che ci sia una forte correlazione fra questi depositi e un possibile sviluppo, più tardi, di demenza. Ovviamente, se questa correlazione esiste e se, tra il deposito e l’insorgere della malattia, c’è un certo lasso di tempo forse è possibile agire per rimuovere questi depositi colpendo preventivamente la causa della malattia. L’Alzheimer di per sé non è curabile, perché una volta che hai perso le cellule non le recuperi più. Ecco che l’approccio deve essere quello di visualizzare per tempo questi depositi, confidando che, prima o poi, ci saranno dei medicinali in grado di toglierli e a quel punto previeni l’insorgere della malattia. Questo presume la necessità di poter fare rilevazioni su grande scala, per esempio sottoponendo ad un scan regolare tutta la popolazione di età superiore ai cinquant’anni. Il punto è che non puoi fare uno scan regolare della popolazione, perché di scanner attualmente in uso ce ne sono uno o due per ogni grande ospedale. Inoltre, nel nostro caso, interessa solo lo scan della testa e ne servirebbero parecchi. Ha preso corpo questo progetto. Anche grazie ai programmi dell’ETH a sostegno di giovani che vogliono creare uno spin-off, due ex dottorandi hanno iniziato a svilupparlo. Uno spin-off che esiste ancora e si è ormai trasformato in una ditta, di cui, pur non essendo attivo, sono co-founder. Fra poco dovrebbe essere pronto il primo modello da mettere in commercio, e attualmente, in parallelo come puro progetto di ricerca, prevediamo lo sviluppo di altri scanner simili. Uno per le stazioni intensive, dove sarebbe molte utile, perché nella zona intensiva non puoi spostare un paziente e portarlo allo scanner. L’idea è di portare il piccolo scanner al paziente. Ne stiamo costruendo uno in collaborazione con l’ospedale di Losanna e un’altra applicazione al Paul Scherrer Institut per combinarlo con la terapia contro il cancro con i protoni, tramite irradiazione. Sono queste attività, queste applicazioni di fisica fondamentale che mi danno anche molta soddisfazione.
27 I numeri UNO - 2022 L’incarico di Rettore dell’ETH non è limitato nel tempo. In teoria, potrei mantenerlo fino al pensionamento, non c’è un termine per ora. Non è prevista una rielezione o cose di questo tipo. Comunque non pianifico di rimanere Rettore fino ad allora. Ho cinquantatre anni, quindi me ne restano ancora dodici anni e magari, visto un prevedibile innalzamento dell’età pensionabile, anche di più. È un incarico che presuppone un lavoro molto intenso con notevole investimento di energie. In ogni caso, penso che dopo un po’ di anni faccia bene anche al ruolo in sé avere un po’ di rinnovamento grazie a qualcuno che entri con nuove idee. Constatare che ogni anno il Politecnico venga considerato il miglior ateneo europeo, preceduto solamente a livello mondiale da poche università americane ed inglesi, è motivo di grande soddisfazione. Soprattutto se si pensa che noi siamo un’università pubblica, mentre la gran parte di queste grandi università americane, tipo Harvard, non è pubblica. Soddisfazione e, al contempo, una grande responsabilità. Bisogna ammettere che per ora le risorse che la Confederazione mette a disposizione dei Politecnici federali – ETH e EPFL – ci consentono di mantenerci competitivi. Ma riuscire a mantenere l’alto livello raggiunto è quasi più difficile che arrivarci. Il contesto attuale sta diventando sempre più complicato. C’è tutta la discussione attorno agli accordi europei che non ci aiuta. Solo fra qualche anno potremo valutare i veri danni, perché questi effetti sono sempre misurabili su una scala di vari anni. A ciò si aggiungono i debiti maturati per via del Covid e le conseguenze della guerra Soddisfazione e responsabilità
28 I numeri UNO - 2022 in atto. Alla fine tutto questo avrà un impatto. Sarebbe ingenuo non pensarlo. Per queste ragioni stiamo osservando bene ciò che accade. Negli ultimi quindici anni l’ETH ha vissuto una crescita impressionante in tutti i sensi, sia come numero di professori, sia come numero di studenti. E c’è stato anche un incremento nelle risorse. È chiaro che nei prossimi anni non ci potrà essere una tale crescita, anche se, per varie ragioni è previsto che il numero degli studenti continuerà a crescere. L’ETH è infatti diventato sempre più attrattivo sia per gli studenti in Svizzera, sia per quelli provenienti dall’estero. Naturalmente siamo interessati ad attirare i giovani più bravi del mondo, ma stiamo entrando in una fase – e questa è una delle grandi challenges che dobbiamo affrontare – in cui è chiaro che la crescita degli studenti sarà molto diversa dalla crescita delle risorse, dello spazio, dei professori e delle infrastrutture. Questa è una delle problematiche sulla quale stiamo lavorando in questo momento. Come detto, c’è preoccupazione per le trattative, al momento sospese, fra Svizzera e Unione europea. Non è solo il fatto di poter accedere a dei fondi, lo Stato può provare a compensare questa eventuale carenza. Un grosso problema è quello di essere esclusi dai progetti europei, che non potremo guidare. E non si tratta unicamente di ricerca e di innovazione, ma anche di networking. Può soffrirne anche la didattica, semplicemente perché se ad un certo punto non ce la facciamo più a attirare le persone più brave, che magari pensano che restare, ad esempio, in Germania non li esclude dal circuito europeo. Questo è un altro aspetto che non possiamo sottovalutare. Detto ciò proviamo a rimanere positivi e anche pro-attivi. Per esempio esistono vari network europei intrauniversitari di cui facciamo parte anche se, alla fine, siamo solo un membro associato. Ma comunque è meglio essere dentro, per poter discutere con loro, mantenere i contatti. Non possiamo stare ad aspettare che la questione si risolva in ambito politico. Naturalmente manteniamo una stretta collaborazione con il Politecnico di Losanna. Fra ETH e EPFL ci sono molti rapporti: a livello istituzionale, siamo entrambi politecnici federali, manageriale, di didattica, di progetti di ricerca, di coinvolgimento di professori. Esistono, per esempio, dei programmi di Master comuni. Ce n’è uno in Cybersecurity che viene gestito insie-
29 I numeri UNO - 2022 me. Come quello in Ingegneria Nucleare che esiste già da parecchi anni. È stato lanciato un nuovo programma per i dottorandi orientato verso la Scienza della Didattica. Sono collaborazioni strette che si esplicitano anche attraverso contatti regolari con i miei colleghi e colleghe a Losanna. Inoltre, le relazioni al momento sono molto buone anche perché i due presidenti Joël Mesot e Martin Vetterli si trovano in perfetta sintonia. durante una lezione di fisica “© ETH Zurich/D-PHYS Heidi Hostettler”
30 I numeri UNO - 2022 In primo luogo mi sento altoatesino Se penso a me stesso in termini di Heimat, in primo luogo mi sento altoatesino: è un fatto di lingua, di cultura, di storia. Ovviamente mi ritengo anche italiano: per il coinvolgimento nelle vicende che riguardano il Paese, per gli affetti e le amicizie che ho sia in ambito privato che professionale. La Svizzera arriva dopo. Anche, ma non solo, in termini cronologici. Sembrerà strano ma non ne ho ancora la cittadinanza. È da anni che mi riprometto di avviare le pratiche, ma per una ragione o per l’altra, non l’ho ancora fatto. Shame on me. Mia moglie è tedesca, lei è venuta dalla Germania quando ci siamo sposati undici anni fa. Mia figlia è nata qua. Diventare svizzero, non tanto perché qui pago le tasse, ma anche perché vorrei partecipare alla vita politica della Confederazione, è solo una questione decidermi a farlo. A maggior ragione, visto anche l’incarico che ora rivesto. È un’annotazione marginale, ma quando a calcio gioca l’Italia, non vi è dubbio: mi sento convintamente italiano. Lo sono anche nel dispiacere che provo nel constatare come l’enorme potenziale, in ambito scientifico, ma non solo, di cui dispone il Paese non venga adeguatamente valorizzato. Ho spesso l’impressione che la gestione della cosa pubblica, per intenderci: la politica, di tutto si occupi tranne che di questo. Me ne rendo conto in modo quasi doloroso se confronto la realtà in cui sono costretti ad operare i miei colleghi bravissimi in Italia a quella in cui opero io o i miei colleghi in Svizzera. Inoltre, mentre qui c’è un forte senso civico, consolidato fina di primi anni scuola, lo stesso non mi è dato rilevare in Italia. Ne deriva anche una partecipazione alla vita pubblica che in Svizzera è più consapevole.
31 I numeri UNO - 2022 Lo noto anche in un’istituzione come l’ETH. Ogni decisione che si intende prendere è sottoposta prima ad una consultazione fra tutti i soggetti che ne vengono toccati. Una prassi che spesso prende molto tempo, ma è quello necessario per garantire stabilità, favorendo, al contempo, una sana cultura della discussione e del confronto. “© ETH Zürich / Markus Bertschi”
32 I numeri UNO - 2022
33 I numeri UNO - 2022 Nato il 5 agosto 1941, sotto il segno del Leone, a Muro Leccese. A 15 dopo l’apprendistato come meccanico apre una sua piccola officina per riparazioni di motociclette. Nel 1959, dopo un anno come carrozziere a Milano, emigra a Zurigo dove viene assunto alla Sihlpapier prima come macchinista per 3 anni e poi altri 2 anni con una rettificatrice di precisione. Nel 1965 apre un piccolo negozio per la rivendita di TV usate, che ampia nel 1968 con l’avvento della televisione a colori. Nel 1975 vende tutto e gira il mondo per 2 anni. Nel 1977 partecipa ad un proegtto di sviluppo urbano in sud Italia. L’anno successivo apre un ufficio di cambio collegato con l’attività vendita e assistenza TV/ radio, che chiuderà nel 1982 dopo una drammatica rapina. Nel 1983 inizia un’attività di intermediazione per l’acquisto di case unifamiliari e nel 1987, con la moglie, che ha conosciuto nel 1981, intraprende una propria attività nel settore immobiliare. Nel 2015 vende una parte delle proprietà immobiliari, riducendo l’impegno professionale per disporre di più tempo da dedicare ai propri interessi e ai viaggi. Antonio Gabrieli Imprenditore I NUMERI 2022
34 I numeri UNO - 2022 Sono come un orologio svizzero: non mi fermo mai Sono pugliese, di Muro Leccese. Nel ’59, a poco più di diciassette anni sono arrivato in Svizzera. Due anni prima, a quindici anni, me n’ero già andato di casa. Vengo da una famiglia numerosa: dieci figli, più la zia, undici, e i genitori tredici. Erano gli anni del dopoguerra. Non si pativa la fame, mio padre aveva una macelleria e un piccolo commercio di vini. Ma dal punto di vista di un ragazzo esuberante qual io ero, era tutto il resto che mancava. Fra tutti i miei fratelli e sorelle – cinque maschi e cinque femmine – io sono stato sempre quello un po’ ribelle. A quattordici anni, imparato i rudimenti del mestiere del meccanico, avevo già una piccola officina dove riparavo moto. Mi piacevano le moto, ero uno spericolato. Ma quando sono venuto in Svizzera non ne ho mai più toccata una. L’anno più triste della mia vita Quando a quindici anni me ne sono andato di casa, con in tasca 500 lire, ho raggiunto un mio amico che mi ha ospitato a Milano. È stato l’anno più triste della mia vita. I milanesi in quegli anni ce l’avevano con i ‘terun’. Io lavoravo in una carrozzeria e guadagnavo quel poco che mi permetteva di comprami un panino e poco più.
35 I numeri UNO - 2022 Quando mio fratello è riuscito ad emigrare in Svizzera, a Zurigo, tramite alcune conoscenze, perché altrimenti non era facile, sono riuscito ad ottenere il passaporto, e a raggiungerlo. Nel frattempo, lui mi aveva fatto avere un contratto in quella che una volta era la Sihlpapier, dove oggi c’è la Sihlcity. Superata la visita medica a Chiasso, a quegli anni era obbligatoria, ho iniziato il lavoro in fabbrica in un reparto dove si fabbricava un tipo di carta molto speciale. Per un giovane della mia età, pieno di energia, il lavoro sembrava leggero. Nel giro di poco tempo il flusso di emigrazione dal Sud aumentò in modo rilevante. Zurigo si popolò di paesani e corregionali che vivevano nelle famose baracche. All’epoca, io guadagnavo 180/200 franchi, che con il supplemento per il turno di notte diventavano 250 franchi. Mi sentivo già ricco. Erano i primi soldi veri che entravano nelle mie tasche. Fin da subito ho preso contatto con i nuovi arrivati che cercavo di aiutare almeno ad orientarsi e a sbrigare le prime pratiche. Io lavoravo a turni e nel tempo libero, anziché riposarmi, mi davo da fare. Andavo nei negozi ad aiutare, cercavo di fornire ai connazionali che vivano in baracca tutto quello di cui avevano bisogno. In breve tempo mi accorsi che questo mio impegno rendeva. Sono così riuscito a comprarmi un vecchio furgone Ford tutto arrugginito, ma che a me faceva comodo: lo riempivo di tutto quello che poteva servire e, accanto al lavoro in fabbrica, facevo anche il rivenditore ambulante.
36 I numeri UNO - 2022 “Se non ti pago mi sbatti fuori” Io abitavo con mio fratello in una zona periferica. Avevo conosciuto un contadino che aveva i terreni li vicino con il quale avevo instaurato un bel rapporto. Nei primi anni ’60 i contadini avevano iniziato a fare i soldi vendendo i terreni per costruire immobili. La stessa sorte era toccata al contadino mio conoscente, che con i soldi della vendita di parte dei terreni aveva deciso di costruire tre nuovi palazzi. Andai da lui e gli dissi: “uno di questi appartamenti è per me”. E lui “ma costa 400 franchi”, “non c’è problema – gli risposi - se non ti pago mi sbatti fuori”. Era un bonaccione, io gli stavo simpatico e l’appartamento me l’ha dato. Ero probabilmente uno dei pochi italiani che negli anni ’60 abitava in un appartamento di nuova costruzione. Già questo automaticamente ti dava forza, ti faceva sentire un privilegiato e mi ha spinto a migliorarmi e a volere sempre di più. Il mio tempo libero lo passavo a procurare tutto quello che serviva ai nostri migranti, inoltre, andavo a lavorare in questi negozi di elettrodomestici per guadagnarmi simpatia e per poter recuperare vecchi televisori non più utilizzati, che facevo riparare e poi rivendevo. La stragrande maggioranza di chi era emigrato qui aveva un unico obiettivo: risparmiare per mandare i soldi in Italia e prepararsi per rientrare. Si toglievano il pane di bocca. Io invece, mi ero messo in testa di restare. Ero riuscito a metter su un negozietto dove, nel tempo libero, vendevo i televisori d’occasione. Ma la polizia degli stranieri se ne accorse e mi intimò “o lavori in fabbrica o te ne torni a casa”. Senza il permesso C, di domicilio, che si poteva ottenere dopo 10 anni di residenza costante, non mi era concesso di svolgere un’attività in proprio. A quell’epoca i controlli erano assidui e molto severi.
37 I numeri UNO - 2022 Passato qualche tempo, un mio amico, uno dei primi che ho avuto qui in Svizzera mi disse: “Toni apri il negozio a nome mio. Tu vieni come Angestellte (impiegato), ma di fatto il proprietario sei tu”. Ho accettato subito, e ha funzionato bene. Poi nel ’67 è arrivata la televisione a colori. C’era un unico negozio a Zurigo che vendeva i nuovi televisori. Costavano dai 3000 ai 7000/6000 franchi. Io continuavo ad andare ad aiutare proprio in quel negozio. Un giorno un tedesco, che mi aveva già visto lì un paio di volte, mi invita a bere un caffè e mi fa: “se tu trovi uno spazio adatto, non importa quanto grande la merce te la procuro io”. Per merce intendeva soprattutto televisori e stereo. Era un grosso imprenditore di Freiburg, lo presi in parola e, per una serie di fortuite coincidenze, trovai, proprio sulla Schaffauserstr, attorno al nr 400, un spazio che si prestava. Mi sembrava enorme, erano circa 450 mq. Affittarlo a nome mio significava assumersi un bel rischio. Ho rischiato. Con l’aiuto di alcuni amici ho accumulato i soldi per la cauzione, e, sempre con il sostegno di questi amici, chi faceva l’elettricista chi il falegname, nel giro di un mese, lavorando in ogni momento libero, abbiamo messo in piedi il negozio. A quel punto chiamo l’imprenditore tedesco e gli dico “Io sono pronto”. È venuto a vedere, un po’ sorpreso, ma decisamente soddisfatto, mi disse: “ti preparo io l’assortimento”. Mi ha portato un camion di roba, l’abbiamo sistemata e subito abbiamo aperto. È stato un successo che non mi aspettavo. Merito del passaparola, perché non avevamo fatto neppure un briciolo di pubblicità. È andata avanti così fino al ’74. A quel punto, io - che sono sempre stato abile nella vendita e nel frattempo avevo garantito ai miei clienti anche un serio e affidabile servizio di assistenza - avevo guadagnato parecchi soldi, che avevo costantemente investito in quella che ormai era la mia azienda. Poi è arrivata la televisione a colori
38 I numeri UNO - 2022 Con una “valigia piena di soldi” In quell’anno la città aveva deciso di cambiare le rotaie del tram. La Schaffauserstrasse era diventata un cantiere. E lo rimase per mesi e mesi. Questo danneggiava e non poco l’attività del negozio, perché complicava la vita non solo ai clienti ma anche ai miei fornitori. Nel frattempo avevo avviato con la vendita di radio e televisori un business di successo e decisi che tanto valeva vendere l’attività. Fu un affare, anche se al momento di consegnare le chiavi, mi prese un attimo di sconforto e di malinconia: mi ritrovavo con una “valigia piena di soldi”, ma mi sembrava di non essere più nessuno. A risollevarmi ci pensò un mio amico svizzero. Gli chiesi se mi accompagnava nelle Filippine, dove c’era un conoscente che mi aveva invitato. Contrariamente a quanto si potesse pensare il nostro non fu un viaggio a fini erotico-sessuali. Il nostro fu un viaggio alla scoperta: di una nuova cultura imprenditoriale, delle relazioni pubbliche. Grazie a questo mio conoscente che veniva da una famiglia altolocata, facemmo degli incontri estremamente importanti. Frequentammo quella che potrei definire la crème de la crème della società filippina. Tra gli altri, incontrammo più volte anche il figlio di Marcos, che avevo già avuto modo di conoscere a Zurigo. Ci restammo 3 mesi ospiti nella villa di questo conoscente, che poi è diventato un grande amico. Poi andai in Puglia, dove incontrai un mio amico, che allora era Presidente della Regione, e un costruttore con cui sono cresciuto. Mi coinvolsero in un progetto edilizio che prevedeva la costruzione di appartamenti. Si chiamava Residenza
39 I numeri UNO - 2022 80 e, appunto entro l’80 avrebbe dovuto esser completata. La costruzione andò bene, anche la vendita, ma nel lasso di tempo che intercorse fra l’investimento per la costruzione e l’incasso per la vendita degli appartamenti il cambio franco lira era crollato e l’operazione si rivelò tutt’altro che vantaggiosa. Inoltre, fui penalizzato anche dal fatto che un mio progetto previsto su un terreno di mia proprietà non fu approvato perché, contrariamente a quanto era successo in tutti gli altri casi e quanto mi era stato garantito, il terreno non venne dichiarato edificabile. Decisi allora che non avrei più investito in Italia.
40 I numeri UNO - 2022 Compagna di vita e socia in affari Orientai il mio interesse nel settore immobiliare in Svizzera. Il primo grosso affare l’ho fatto acquistando una villa nel Canton Uri, in mezzo alle montagne. Si rivelò un’operazione molto redditizia e mi stimolò a proseguire. Incominciai in Argovia a comprare tutto quello che era in vendita sul Belvedere di Mutschellen. Ovviamente compravo e rivendevo a dei ritmi che da un certo punto erano quasi frenetici. Fondamentale è stato l’incontro con mia moglie. L’avevo incrociata in banca dove lei lavorava. È diventata la mia compagna di vita, ma anche la mia socia in affari. Con lei ci siamo divisi chiaramente compiti e competenze. Si è rivelato una scelta lungimirante, visti i risultati. Oggi posso dire che gestisce tutto lei. Io ormai sono superfluo… Io non ho grandi studi, quello che ho imparato, l’ho imparato lavorando. Oggi si direbbe learning by doing. Ho sempre avuto naso, insomma fiuto, una dose di intuito che mi ha consentito di anticipare l’andamento del mercato, prima che gli altri lo avessero percepito. Questo mi ha permesso di non subire gravi conseguenze dalle crisi che pure ci sono state dal ’90 ad oggi. Devo ammettere che sapevo conquistare i miei clienti. Forse per la mia simpatia, credo anche perché, se penso al lor statuto e al loro livello sociale, una certa reputazione me l’ero fatta. Oppure, e magari probabilmente, perché io i miei clienti li corrompevo… invitandoli a pranzo o cena esclusivamente dove si mangiava bene. Io non ho mai avuto un ufficio: la mia scrivania è sempre stata il tavolo del ristorante. Spendevo
RkJQdWJsaXNoZXIy MjQ1NjI=