168 I numeri UNO - 2021 Il primo trapianto di una mano Naturalmente, un’altra tappa fondamentale del mio percorso professionale è stato poter partecipare al primo trapianto della mano. Risale al ’94, periodo in cui ci eravamo trasferiti a Montreal, proprio sulle tracce di un chirurgo, Rollin Daniel, che aveva effettuato trapianti sulle scimmie e aveva lasciato un sacco di materiale senza però andare avanti nella sperimentazione. Io sono ripartito da lì, e nel lungo periodo che siamo stati a Montreal ho rimesso in ordine tutto il materiale, cominciando a dare forma al sogno di fare un trapianto di mano. D’altronde, doveva succedere prima o poi. Avevano trapiantato quasi tutti gli organi vitali non era avventato pensare che si potesse fare anche con le mani. Parlo di trapianto e non di reimpianto, che consiste nel riattaccare la mano alla stessa persona che l’ha persa. Dal punto di vista chirurgico era una cosa abbastanza normale. Per certi versi, un trapianto, chirurgicamente parlando, poteva persino essere più semplice perché non doveva essere effettuato in situazione d’urgenza; si poteva aspettare il donatore giusto. Anche se questo introduceva tutte le problematiche legate all’immunosoppressione e al rischio di rigetto. Dal 1994 ho messo insieme una quantità di dati davvero impressionanti, che mi portavo in giro e continuavo ad approfondire. Quattro anni dopo, nel ‘98 il nostro centro di microchirurgia sperimentale di Sydney - di cui nel frattempo ero diventato il direttore - si presenta un tale Clint Hallam. Veniva da Auckland in Nuova Zelanda. Non aveva un braccio e portava con sé il libro del primo trapianto di cuore fatto da Christian Bar-
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