120 I numeri UNO - 2021 Teorico o sperimentale: questo è il problema A un certo punto arrivò il momento di decidere cosa avrei fatto da grande. I primi due anni all’università segui corsi di fisica generale, dopo di che devi scegliere in che direzione andare. A Napoli c’era un gruppo che lavorava sulla fisica delle particelle elementari. All’epoca, siamo alla fine degli anni ‘70, il CERN esisteva da una ventina di anni e questo tipo di ricerca era qualcosa di abbastanza nuovo. Il gruppo era già attivo al CERN e la cosa mi piacque. Mi affascinava l’idea di studiare i segreti della natura a livello più profondo, più intimo, e in un grande laboratorio internazionale. Capire come è composta la materia, svelare i misteri di spazio e tempo: dare in fondo una risposta scientifica alle grandi domande, un tempo dominio della sola speculazione filosofica. Ciò poneva già una discriminante fondamentale, che distingue il fisico teorico da quello sperimentale. Le due cose sono oggi proprio antitetiche. Devi decidere: sei bianco o nero, guelfo o ghibellino, di sinistra o di destra. A me piaceva fare le cose, vederle e toccarle con mano. Presi l’indirizzo sperimentale. Una scelta che non ho assolutamente rimpianto. Decisi di fare la tesi col gruppo che lavorava al CERN, un lavoro naturalmente sperimentale. Il mio relatore, il professor Criso Sciacca, mi fece realizzare uno strumento, un rivelatore di particelle, che era stato costruito per la prima volta l’anno prima da un famoso fisico, George Charpak, che poi ottenne il premio Nobel per tali studi. Lui fu il precursore. Io ebbi l’onore, la fortuna e il piacere di realizzare con le mie mani
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